lunedì 31 dicembre 2012

La vita oltre


Nicola (SP), 30/12/2012.

sabato 29 dicembre 2012

Tanti auguri con zio Eugène (Fuck the State!)

 
La non-notizia è che questo è l'ultimo post dell'anno e che (sempre che lo vogliate, naturalmente) ci si vedrà ni' Trédici ("i' mi' pòero zio 'e gli era di' Trédici", si diceva una volta). Incombono gli auguri di fine anno, che come sempre rivolgo a tutte e tutti meno che a uno; e questi auguri li voglio proprio fare con una canzone (anche se non m'è proprio riuscito, purtroppo, di trovare qualcuno che l'abbia cantata). Non è, datemi retta, una canzone di uno qualsiasi; l'ha scritta, infatti, Eugène Pottier. Non so se questo nome vi dice qualcosa; qualora non ve la dicesse, si tratta dell'operaio e Comunardo parigino che è noto, più che altro, per aver scritto un'altra canzoncina dove si parla di una "lotta finale" e di unirsi per il "futuro dell'umanità"; insomma, è quello che ha scritto l' Internazionale. Di canzoni, però, ne ha scritte parecchie altre, raccogliendole in un volume che fu intitolato "Chants Révolutionnaires"; tra le quali questa, che contiene gli auguri migliori che io possa concepire: quelli di poter vivere in un mondo senza stati, militari, capitalisti e preti. Un mondo che continuerebbe a girare tranquillamente. Ovviamente ciò non accadrà ni' Trèdici, e nemmeno ni' Quattòrdici o ni' Quìndici; però non vedo attualmente nessun motivo plausibile per non continuare a crederci. Tutt'altro. La canzone si chiama, nell'originale francese, Les classes dirigeantes. Non è né strano e né curioso che se ne avvertano gli echi in un'altra canzone in francese che, a un certo punto, dice: Plus de dirigeants, plus d'états / pour profiter de nos combats. Tanti auguri, sinceri, dall'Asociale.

LE CLASSI DIRIGENTI 
Eugène Pottier, Chants Révolutionnaires, 1887

Tutta un'ondata di stelle filanti
su questo globo s'è abbattuta,
e delle nostre classi dirigenti
non resta altro che un fuscello.
Chi ci ha condotto al vicolo cieco,
i nostri “statisti” pesanti e vuoti
sono andati a diriger lo spazio...
E la Terra continua a girare!

Non ci son più! Ora che faremo?
Davanti a chi ci inginocchieremo?
Lo Stato era onnicomprensivo,
quei tizi là pensavan per noi!
Senza di loro, o pecore, sapreste pascolare?
Chi mai imbriglierà l'amore?
Eh! Nemmeno un carabiniere!
E la Terra continua a girare!

Dove sono quei dottrinari calvi
che di padre in figlio han votato
codici selvaggi e leggi feroci
per salvaguardare la società?
Non sentirete più, proletari,
colar acqua torbida, in lunghi discorsi,
dai rubinetti parlamentari...
E la Terra continua a girare!

Eh! Non ci sarà più un capitalista,
più un truffatore assolto dal codice
il cui implacabile genio consiste
nel far cacare gran soldoni!
Ma come! Il Lavoro e l'Idea
sottratti alle grinfie degli avvoltoi?
Ma come! Rothschild, la tua cassa è vuota?
E la Terra continua a girare!

Per i loro giochetti estenuanti
‎massacrati a cannonate,
non più ambasciatori in Europa,
né patacche, né cordon d'onore.
I popoli, stanchi delle vecchie trame
e dell'acquasanta delle corti,
fraternizzano via telegramma...
E la Terra continua a girare!

Sanno abbaiar meglio che mordere,
ma dove sono tanti capi gloriosi
che si ritiravano in buon ordine
né morti e neppure vittoriosi?
I colpi di stato, miccia accesa,
non insanguinan più i nostri rioni,
la pace si mantiene senza eserciti...
E la Terra continua a girare!

Via i preti panzoni, via il papa!
Più manco un pio sagrestano;
non s'incontra più Priapo
in veste da Ignorantello.
Un miracolo ha ammazzato Roma
e il Sillabo è ormai fuori corso;
la ragione si fa Dio nell'Uomo!
E la Terra continua a girare!

La Terra gira, e più fertile ancora
nutre braccia meno stanche.
Nei gran campi di grano dove cresce il profitto
l'allodola canta più allegramente.
Il lavoro si fa senza padroni
e, nei loro piacevoli svaghi
la poesia empie gli esseri umani,
e la Terra continua a girare!

LES CLASSES DIRIGEANTES

Tout un flot d’étoiles filantes
Sur ce globe s’est abattu,
Et, de nos classes dirigeantes,
Il ne reste plus un fétu.
Ceux qui nous guidaient dans l’impasse,
Nos hommes d’État creux et lourds,
Sont allés diriger l’espace…
Et la Terre tourne toujours !

Ils ne sont plus ! qu’allons-nous faire ?
Devant qui nous mettre à genoux ?
L’État tenait tout dans sa sphère,
Ces gaillards-là pensaient pour nous !
Sans eux, moutons, saurez-vous paître ?
Qui tiendra la bride aux amours ?
Quoi ! pas même un garde champêtre !
Et la Terre tourne toujours !

Où sont ces doctrinaires chauves
Qui, de père en fils, ont voté
Codes sauvages et lois fauves,
Pour sauver la société ?‎
Vous n’entendrez plus, prolétaires,
Couler l’eau trouble, en longs discours,
Des robinets parlementaires…
Et la Terre tourne toujours !

Quoi ! plus un seul capitaliste,
Plus d’escrocs par le code absous,
Dont le génie âpre consiste
À faire suer les gros sous !
Eh ! quoi le Travail et l’Idée
Sont soustraits au bec des vautours !
Quoi ! Rothschild, ta caisse est vidée ?
Et la Terre tourne toujours !

Pour des travaux de Pénélope
À coups de canon déchirés,
Plus d’ambassadeurs en Europe,
Ni crachats, ni cordons moirés.
Les peuples, las des vieilles trames
Et de l’eau bénite des cours,
Fraternisent par télégrammes…
Et la Terre tourne toujours !

Sachant mieux aboyer que mordre,
Où sont tant de chefs glorieux,
Qui se repliaient en bon ordre,
Pas plus morts que victorieux ?
Les coups d’État, mèche allumée,
N’ensanglantent plus nos faubourgs,
La paix se maintient sans armée…
Et la Terre tourne toujours !

Plus de gras curés, plus de pape !
Pas même un pieux sacristain ;‎
On ne rencontre plus Priape
En soutane d’ignorantin.
Le miracle ayant tué Rome,
Le Syllabus n’ayant plus cours,
La raison se fait Dieu dans l’Homme !
Et la Terre tourne toujours !

La Terre tourne et, plus fertile,
Nourrit des bras moins fatigués.
Dans les blés grands où croît l’utile,
L’alouette a des chants plus gais.
Le travail s’accomplit sans maîtres
Et, dans leurs loisirs de velours,
La poésie emplit les êtres,
Et la Terre tourne toujours !‎

giovedì 27 dicembre 2012

Blocchetti di tufo


Chi deciderà di leggere questo post, deve sapere che non ci capirà assolutamente nulla. E' scritto esclusivamente per me stesso. 
 
Vent'anni fa meno un paio di giorni, dieci minuti dopo stavo già pensando a come sarebbe stato vent'anni dopo. Ora me ne sto qui, da solo, davanti a una cosa che parla di un muretto in blocchetti di tufo che non deve essere abbattuto in un comune laziale; un documento ufficiale e archiviato, credo lo si possa definire così. Eccoli, i famosi vent'anni dopo; e mi son prese delle grandi, enormi risate.

Ma non sono risate astiose o che vogliono, magari senza riuscirci, nascondere lacrime. Nulla di tutto questo; si possono permettere di essere semplici risate senza retrogusto, prive di rancore o di chissà quale rivalsa. Soltanto risate davanti a un documento contenente, fra le altre cose, un nome preceduto da una qualifica professionale. Non sono neppure risate di liberazione, o di catarsi, o di chissà quale altra categoria; quelle sono state già rise anni fa. Ora sono soltanto le risate, grandi ma per nulla smodate, di qualcuno che ride e basta.

Non c'è nulla da raccontare. Nulla da comunicare. Non mi piacciono le lettere retoriche indirizzate al passato. Non c'è da fare nessun bilancio, né da esprimere nessun rimpianto. Vent'anni dopo, in una serata a pochi giorni dalla fine dell'anno, m'è presa una normalissima curiosità; e questa mi ha condotto al muricciolo in blocchetti di tufo per il cui abbattimento è stato dato parere sfavorevole. Le risate sono cominciate dopo un primo momento di bizzarro sbigottimento; poi sono scoppiate, incontenibili.

Ma, lo ripeto, non v'è in esse alcun sentimento negativo. Anzi, proprio nessun sentimento in assoluto. Né odio e né amore. Non c'entrano nemmeno il muretto e i blocchetti di tufo; sono un modo come un altro per guadagnarsi la vita, del tutto onorevole sia per un muratore, sia per un avvocato. Sono soltanto una traccia casuale che la sorte ha voluto darmi vent'anni dopo; sinceramente, vent'anni fa non lo avrei pensato. Mi ero immaginato o visto altre cose, nell'agitazione mentale di quei momenti. Ma, ripensandoci a risate terminate, il destino ha sempre ragione. E' stato un modo allegro per suggellare questo momento, e sto bene.

E così, con tutta probabilità, le risate sono state rivolte a certe galline a motore in una torrida mattinata di un'estate lontanissima. A certe cavalcate senza mèta per le campagne. A certe nottate in una piazza e al suo nobile senso d'algore. Ai feticci e ai simulacri. All'ultimo luogo dove. Ai risvegli sudati e ai palliativi uno più buffo dell'altro. Agli anni che son venuti dopo e a tutte quelle interminabili conversazioni simulate con un fantasma, percorrendo decine di migliaia di chilometri. A sporadiche telefonate senza senso. Rivolte ai sogni e a quella loro caratteristica di preannunciare, in un modo o nell'altro, sempre cose non piacevoli; sono scomparsi tre giorni prima del 21 settembre 2011, quei sogni. Svaniti. Per questo stavo ridendo, in questi spettabili vent'anni dopo che non somigliano affatto a quelli dei Tre Moschettieri.

Significa che il giro è stato davvero fatto. E' stato un giro che ne ha, devo dirlo, combinate di cotte e di crude; il risultato, che quasi mi provoca altre risate, è che verso quei vent'anni fa ho come un senso di affetto, di bei tempi andati. Verso quegli anni in cui mi sembrava di soffrire come una città di bestie, e nei quali invece è andata a finire (spesso senza volerlo ammettere) che mi son divertito come un cignale. In cui ho lasciato tutta una serie di melasse per andarmi spesso, certo, a infognarmi in storie assurde e fantasmagoriche, ma che mi hanno fatto sortire vivo come un bambino piccolo. In cui ho seminato, credo, bene e male senza preoccuparmi troppo delle percentuali; ma qui mi corre l'obbligo di fermarmi, sennò diventa un bilancio. E proprio non ho nessuna voglia di farne.

I ricordi son diventati a macchia di leopardo, senza più nessuna logica. A parte certi avvenimenti fondamentali, belli o brutti che siano stati; a parte l'inizio su quegli scalini di una banca e la fine in una cucina davanti alle “spinacine”; a parte certe frasi dette e certi sguardi dati. Per il resto, tutto è sbiadito in un mar bianco dal quale però, ogni tanto, spuntano senza preavviso dei giorni qualsiasi, delle immagini sepolte chissà dove, delle fotografie perdute, dei gesti. Sono ragionevolmente sicuro che, se incontrassi per caso adesso la persona del muretto e dei blocchetti di tufo, avrei parecchie difficoltà nel riconoscerla all'istante. Nella testa si è fissata, per sempre, l'immagine su una panchina in pietra, con un cappotto blu e un cappellino piumato, di una giovane donna. E' quella che mi resterà, senza alcun aggiornamento possibile.

Mi resteranno anche Calabanana, certo, e una 128 Rally rossa targata Sassari. Mi resterà l'immagine di me stesso solo nella notte. Mi resterà via di Ruffignano un'ora e mezzo dopo. Mi resterà il ricordo di una busta in plastica piena di lettere. E anche verso tutte queste cose, ed altre ancora, l'istinto è quello di ridere, anche se più sommessamente. In piena tranquillità. Rido di tutti questi “anniversari” che ho propinato per vent'anni a me stesso, e a volte anche agli altri. Rido di tutta una serie di “amici” o “compagni” che son partiti allegramente verso il mio oblio. A modo loro, quel muricciolo e quei blocchetti di tufo del documento ufficiale sono stati geniali; si sono manifestati non soltanto al momento giusto, ma anche nel modo giusto. Con quel loro impareggiabile linguaggio burocratico o giuridico che fornisce, sapendolo leggere, insospettabili immaginazioni. Che fabbrica idee e mette, al tempo stesso, fine ad un percorso. Al giro. Così è andata, così doveva andare; ed è una risposta definitiva che dovevo a me stesso.

Sta piovendo. Ne sento il rumore benissimo, la finestra è aperta perché il gatto, naturalmente, va dentro e fuori. Stasera mi piace anche la pioggia, devo dire; ho come un vago senso di invincibilità. Sento che girano bene le rotelle, talmente bene da avermi consentito di ridere come a un infinito chiarore di lontananze che cominciano a saper essere presenti senza più incombere. Non ci saranno più né anniversari, né altro. Non ci saranno più sogni e voci. La mia vita è andata verso questo, la tua verso i blocchetti di tufo; e non te ne adombrare, se sopra ci ho fatto tra le risate più matte della mia vita. Ho riso bene, ma senza nessuna pretesa di essere l'ultimo. Ho riso bene perché ho vent'anni in più. Ho riso bene perché niente e nessuno mi ha sconfitto. Ho riso bene perché a Palmaiola non ci sono né muretti, né blocchetti di tufo.

venerdì 21 dicembre 2012

Maya, fate cacare !!!



O che discorso è questo?!?

Oh, son già le undici e ancora niente fine del mondo! Ma è il modo, cari Maya, di pigliare per il culo la gente perbene? O stai a vedere che l'unica cosa che si avrà in questo fatidico giorno, sarà l'ennesimo, palloso doodle di Google!

Tanto puzzo con il vostro calendario, e stai a vedere che ci azzecca di più il Sesto Cajo Baccelli, lo stròlago di Brozzi!

Oh, io lo compro tutti gli anni, e alla giornata di oggi, 21 dicembre 2012, aveva messo: pioggia. E, infatti, piove. A Brozzi sì che sono profeti seri, mica voialtri! Meglio la Maya desnuda!

A questo punto, cari Maya, se entro un paio d'ore non lo fate finire 'sto mondo di merda, sappiate che vi siete sputtanati per l'eternità.

Per quel che mi riguarda, io mi sto dando digià agli Olmechi, ai Toltechi e persino ai Trichechi.

O che volete che non ce l'abbiano, un calendario un po' meglio del vostro ?!?!

Dice pure che gli Olmechi 'e ce l'anno con le donne gnude!

I Toltechi, invece, i' mondo 'e lo fanno finire di luglio. O che deve finì, 'sto mondo, sempre quando fa freddo... ?!?

Estreme confessioni attendendo la fiammata.



A diciassette anni guardavo ancora l'Ape Maia.

Avevo sempre desiderato di metterne la sigla sull'Asocial Network; Se Non Ora, Quando? (SNOQ)

Inoltre mi perdevo poche puntate di Candy Candy, e non di rado guardavo anche Lady Oscar.
 

Sono sempre andato pazzo per le croste di parmigiano fritte nell olio. 

La fine del mondo arriverà senza che sia riuscito a completare delle infernali "Parole crociate a serpentina" del n° 4163 della Settimana Enigmistica.

Il mio primo voto, a 18 anni, l'ho dato al Partito Radicale.

Ho avuto una breve ma piacevolissima esperienza gay con un ex amico mio, all'età di 26 anni. Dentro a un cesso, ma altrove non si poteva.

Ho pisciato sugli scalini della casa di Romano Prodi a Bologna, in una traversa di piazza Santo Stefano (mi sembra si chiamasse via Gerusalemme).

Ho pisciato una volta, completamente briaco, anche in piazza di Settignano davanti a tutti provocando scandalo nella popolazione.

Ho buttato in un fosso, a Livorno, una copia dell'Unico e la sua proprietà di Max Stirner, dopo averne letto circa trenta pagine. Però, poi, ne ho ricomprato un'altra copia e l'ho letta tutta.

Sono tuttora capace di recitare a memoria tutto il racconto a fumetti Zio Paperone e il ventino fatale. Il Quartiere Agonia, o Shacktown, mi accompagnerà per sempre, cioè per ancora poche ore.


Datemi delle macchinine, e ci giocherei ancora per ore in vasca da bagno ad "alluvionarle".

Detesto gli orologi da polso e non ne ho mai portato uno.

Ecco, ora può anche finire 'sto mondo del cazzo, almeno fino a domani.

martedì 18 dicembre 2012

Come dicono a Oxford, io mi ci pulirei il culo.


E' naturale che, da autentica puttana nazionalpopolare quale è diventato oramai da tempo, Roberto Benigni approdasse alla Costituzione in tivvù, mettendoci su il consueto spettacolino da audience milionaria. Gli ingredienti c'erano tutti, l'esegesi, l' "orgoglio italiano", Berlusconi. Pure il titolo gozzaniano, La più bella, come l' "isola non trovata" che a suo tempo fece fare un album a Guccini; già, perché oramai siamo arrivati, nella mortifera retorica in cui siamo riconosciuti campioni mondiali, all'estetica costituzionale. Le "carte fondamentali" si giudicano in quanto a "bellezza", non come serie di principi alla base di uno stato. Conta la "bellezza", non l'effettiva applicazione dei solenni proclami che vi sono enunciati; ma, ripeto, non deve stupire che un Benigni si presti a questa mistificazione che va avanti, oramai, da diverso tempo. Quella della "costituzione più bella del mondo"; ciò presupporrebbe in primo luogo che l'Italia dev'essere proprio un bello Stato, e che gli altri sono più brutti. Ma pensate un po'. 

La Costituzione italiana, così tanto (e fintamente) "amata" specialmente da certa sinistra, è innanzitutto la costituzione di uno stato borghese in piena regola, con la gentile partecipazione dei comunisti del dopoguerra che, di lì a poco, sarebbero stati cacciati via a calci nel sedere dopo non aver mancato peraltro di amnistiare generosamente i fascisti e di inserire di peso, proprio in quella meravigliosa costituzione, il Concordato tra Mussolini e la Chiesa cattolica. Costituzione di uno stato borghese repressivo fin dai suoi albori, ma infiorettata con tanti bei princìpi che sono rimasti, tutti quanti e regolarmente, carta straccia. Sin dalla prima frase della "repubblica basata sul lavoro", passando per il "ripudio per la guerra" e per il "divieto della ricostituzione del Partito Fascista"; ma che dire della "promozione delle scienze e delle arti", in un paese dove la cultura è in una condizione comatosa, dove l'immenso patrimonio artistico crolla a pezzi, dove i fondi destinati a codesta "promozione" sono ridotti oramai all'osso e tagliati a ogni finanziaria, dove chi si occupa di scienza è costretto a emigrare? 

Articolo 1: L'Italia è una repubblica fondata sulle spese militari. Perché quelle non vengono mai a mancare. Quelle sono "promosse" con entusiasmo. Quelle non vengono mai tagliate. Articolo 11: L'Italia ripudia i suoi cittadini, li strizza di tutti i loro averi erogando in cambio servizi di merda, privatizza ogni infrastruttura fondamentale, distrugge e dissesta il territorio, spedisce in mezzo mondo i suoi "soldati di pace" a fare la guerra a comando, con costi spaventosi, spiana valli intere e, siccome non è abbastanza, quando è necessario ti fa anche saltare in aria sui treni, nelle stazioni, nelle piazze. Disposizioni transitorie e finali: Il Partito Fascista, in una sua forma, viene ricostituito fino dal 1946 con il nome di "Movimento Sociale Italiano"; attualmente, oltre ad un partitino che si chiama proprio "Partito Nazionale Fascista", abbiamo anche "Fascismo e Libertà" oltre alle varie Forze Nuove, Casapound eccetera che prosperano a suon di milioni. Davvero "la più bella", non c'è che dire.

Dice poi, questa bellissima Costituzione, che la "sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione". Io non credo che il cosiddetto "popolo italiano" abbia mai desiderato essere "sovrano", altrimenti questa sovranità se la sarebbe presa come altri popoli hanno almeno tentato di fare ma senza nessuna conrega di barbogi, di "padri fondatori" che vergavano parole su parole e mettevano firme. Aveva tentato di prendersela sul serio, la sua sovranità, il popolo spagnolo nel 1936; e sono certo che la cosa non prevedeva proprio nessuna "costituzione" e neppure nessuno stato di merda.  Il "popolo italiano" ha avuto in compenso quel che, in fondo, ha sempre desiderato: essere suddito, e magari anche con una colossale presa per il culo come la sua "costituzione" che fa audience con il guitto antiberlusconian-dantesco. Ma ognuno ha quel che si merita.

Quindi, come dire, questa vostra bella "Costituzione", tenetevela pure. Non soltanto con gli spettacolini di Benigni, ma anche con le canzoncine di Shel Shapiro; tenetevela insieme ai centocinquantesimi anniversari, alle bandierine alle finestre, a Napolitano e a tutto il resto. Per quel che mi riguarda, io persisto nel pulirmici il culo perché le vicende di sessantacinque anni dovrebbero avere oramai dimostrato che è soltanto carta da culo, e neppure morbida. Cartaccia di quella rozza, e sporca non soltanto di merda, ma anche e soprattutto di lacrime e sangue. Fatevici i vostri spettacolini, sbavateci sopra, chiamate Benigni, e magari la prossima volta anche Alba Parietti a fare l'esegesi dei segreti di stato e a dire chi le ha messe le bombe in piazza Fontana, in piazza della Loggia e alla stazione di Bologna. Sai che audience si avrebbe!

lunedì 17 dicembre 2012

Ragazzi, l'è mayala.



Su tutti noi incombe, come si sa, la fine del mondo.

Mancano pochissimi giorni; entro venerdì, insomma, non ci saremo più. Nessuno. Una fiammata, e via. Fine di tutto ivi compresa, naturalmente, l'intera bloggherìa planetaria; il mondo s'interroga su quale sarà l'ultimo gruppo Facebook ad essere aperto, e sopratutto su chi spedirà l'ultimo Tweet. Favorito d'obbligo, il Papa; oltre ad avere, ovviamente, un rapporto privilegiato con il Padreterno sembra che abbia raccolto in pochi giorni una quantità decisamente esorbitante di contatti, che ne fanno, va da sé, il principale candidato all'ambito riconoscimento (chi poi lo riconoscerà non si sa, ma sono questioni secondarie).

Questioni secondarie, giustappunto. Perché è ovvio che non bisogna credere a tutta la massa di cazzate sulla fine del mondo, sulla profezia Maya e quant'altro, mentre bisogna credere alle trasformazioni dell'acqua in vino, alle passeggiatine sulle acque, ai morti resuscitati e alle stelle comete (a proposito, e se la fine del mondo venisse proprio da una cometa?) Confesso, ohimè, di essere sempre meno illuminato dalla fede. Può darsi che sia una mia mancanza. In extremis, allora, ho deciso di credere finalmente in qualcosa; credo nella fine del mondo. Di qui a venerdì 21, ho deciso di concedermi questi giorni di fede intensa.

Sperando che sia la volta buona; non vorrei dire, ma -oramai- di fini del mondo preannunciate ne devo aver vissute perlomeno qualche migliaio nell'arco della mia mezza età; e non metto neppure nel conto quelle periodiche dei Testimoni di Genova (ma icché vorranno testimoniare a Genova, lo sanno solo loro). Stavolta, dio sagrato, ci credo. Ci sono di mezzo i Maya e in più mi è arrivata anche una mail di John Titor. Ma la cosa ha anche un altro aspetto, almeno per me: 'sta fine del mondo mi risolverebbe un bel po' di casini. E, immagino, non solo a me.

Interverrebbe, ad esempio, a bloccare tutte le balle sulla ripresa e la candidatura di Monti; oso immaginare che la fine del mondo sarà, almeno lei, del tutto egualitaria e che non andrà a ricercare l'unione dei moderati. Per essere più prosaicamente personalistico, mi bloccherebbe il pagamento di euro 100,73 di Enel e di euro 176,40 di Fastweb. Tornando ai grandi temi dell'umanità, terminerebbe sul nascere il fidanzamento di Silvio Berlusconi con la guagliunciella partenopea, facendolo peraltro morire felice e convinto pure di vincere la farsa elettorale prossima non-ventura. Se domani tolgono due punti al Napoli per il calcioscommesse, farebbe arrivare quarta in classifica la Fiorentina, un ottimo risultato (e mi ricordo di quando, alcun tempo fa, il “buco nero” possibilmente generato al CERN di Ginevra all'inizio di un settembre avrebbe fatto vincere l'ultimo scudetto al Bologna). Beh, chiaro: l'ultimo scudetto dell'umanità, stavolta, lo vince la Juventus. Menomale che è proprio l'ultimo. Il Genoa va in B ma, tanto, a 'sto punto che gliene frega.

Niente TAV. Non si farà. Però sono convinto che, fino al decimo secondo prima dello scoppio, tutta una serie di cialtroni proclamerà l'im-pro-cra-sti-na-bi-le necessità di costruire la Torino-Lione perché “lo vuole l'Europa”. Dopo dieci secondi l'Europa non esisterà più, ma che importa. A cinque secondi dalla fine, il procuratore Caselli emetterà un'ordinanza di arresto per una trentina di attivisti mentre il “Gior(i)nale” ipotizzerà che, tra le possibili cause della fine del mondo, vi siano i danni procurati al traliccio elettrico da Luca Abbà. Salterà anche la realizzazione del tunnel TAV sotto Firenze con l'annessa “stazione Foster”, quell'altra improcrastinabile cosa che l'amministratore delle ferrovie, Moretti, procrastina di due mesi in due mesi oramai dai tempi del big bang.

Dagli Stati Uniti d'America si attende un decisivo contributo alla fine del mondo, magari con un'ultima stragetta scolastica fatta ammodino o un'esportazione di democrazia all'undicesima ora. Da non perdere anche gli estremi eventi nel Regno Unito, con Carlo d'Inghilterra che -si vocifera- strangolerà la madre per regnare almeno mezza giornata ed essere ricordato come ultimo sovrano. Kate Middleton non darà alla luce l'erede al trono, ma tanto che diavolo ci avrebbe da ereditare. La Repubblica di Cuba terminerà embargata. Come ultimo atto, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu dichiarerà che questa fine del mondo è un atto esecrabile di antisemitismo e ne approfitterà per un'ultima ripassatina su Gaza, che tanto di fini del mondo ne subisce una circa ogni due anni e quindi ci è abituata. Possibile che la cantante “pacifista” Noa indirizzi un'ultima commossa canzone ai fratelli palestinesi lodando finalmente la raggiunta concordia umanitaria: cari fratelli, vi spazziamo prima via noi dandovi il privilegio di scomparire dalla faccia della terra prima di tutti gli altri. Poi non dite che siamo cattivi, noialtri israeliani. Però, prima di venerdì una bombettina atomica sull'Iran ce la lasciate tirare, eh; e che cazzo. Abbiamo speso chissà quanto per fabbricarle, e sempre lì ferme nei depositi.

Insomma sì, l'è proprio Mayala. E ci credo, cavolo se ci credo. Mi sto preparando a dovere, assieme al gatto. Ho fatto provviste perché stavolta, cristodiddìo, mi sfogo. Basta con i mangiarini morigerati, ho comprato due chili di salsicce al peperoncino, tre confezioni di marrons glacés, un macigno di lardo di Colonnata e non vi dico cosa e quant'altro. Naturalmente ho lasciato tutto da pagare a chiodo, dicendo che passerò sabato. Per il micio, scatolette “Le Chat Millionaire” con caviale del Volga e canard à l'orange; ma ho come un certo sospetto che lui, assieme a tutti i gatti, la sfangherà e ci andrà a tutti quanti nel culo. Insomma, un gatto non credo si scomponga più di tanto di fronte a una volgarissima fine del mondo; di mondi per gatti ce ne sono infiniti, mentre noialtri coglioni ci abbiamo soltanto questo. Soltanto questo. Soltanto questo.

Ma, infine, che sarà mai. Al momento estremo, mi scomporrò in molecole con il sorriso sulle labbra e con una certezza altamente consolatoria: pur non avendo fatto in tempo a rivederla per un'ultima volta, l'isola d'Elba non terminerà in provincia di Pisa ma rimarrà in quella di Livorno. A questo, no, non sarei mai potuto sopravvivere. Alla fine del mondo magari sì, perché non immaginate nemmeno quali e quante risorse io abbia; ma a pigliare un traghetto pisano, certamente no. In fondo, dai, ci vuole così poco ad essere felici.

venerdì 14 dicembre 2012

Su, forza.



Su, forza, ora.

Forza con le canzoncine country, il blues, i pugili e i filmini.
Forza con fumetti, cristi, acrobazie, anarchie e storie. Soprattutto le storie, mi raccomando.
Forza con tutte quelle belle "anarchie" individualistiche, con le disperazioni elette a estetica, coi sogni e coi miti.
Forza con le armi che l'America le garantisce a tutti, libere, così "non ce le ha solo la polizia".
Infatti si vede che popo' di rivoluzioni ci fanno, con le armi libere.
Su, forza con Charlton Heston, con le Associazioni Nazionali dei Fucili e con la voglia insopprimibile di distinguersi.
Forza con l'antiamericanismo peggior prodotto dell'americanismo, dell'antifascismo peggior prodotto del fascismo, dell'anticamera peggior prodotto della camera, dell'antimonio peggior prodotto del monio.
Forza con i nostri miti morti ormai la scoperta di Eminguèi, forza con Walt Whitman Walt Disney Walt Appigliatteloincul.
Forza con le Pantere Nere, la Pantera Rosa e magari anche con la Pantera della Polizia, che se ripenso a quando li immaginavo commissari avevo avuto una botta pazzesca d'intuito.
Forza con le tragedie, le morti solitarie nella stazione di servizio abbandonata, i suicidi in squallide camere d'albergo, il whiskey, le bibbie, le sedie elettriche, Alcatraz e il suo uomo.
Forza con il jaaaaaazzz, che è una gran musica di merda e pallosa come null'altro, ma non bisogna dirlo sennò vieni crocifisso all'istante.
Forza con gli uragani, che come sono uragani negli Iuessèi non sono da nessuna parte; a Haiti mica ci hanno Kris Kristofferson, del resto. Mica ci hanno Bruce Springsteen. Ci hanno fame e merda, e perdipiù parlano una specie di francese. Come a Niu Orlinz, ma Niu Orlinz vuoi mettere.
Forza con i calci e gli sputi addosso a chi osa dichiararsi ancora "antiamericano"; diventa subito d'accatto, diventa uno stupido, uno che capisce la metà di uno che non capisce una sega.
Forza con tutto questo bello spettacolo, perché lo hanno detto anche Guy Debord, Gilles Deleuze e magari anche Gilles Villeneuve, che non si sa mai.
Forza, su, con gli anarcobanchieri, coi ricombinanti, con i vent'anni, con le scoperte e, per una volta lasciate che ve lo dica fuori dai denti, anche con le vostre mammacce troie che v'hanno cacato.
Perché se ripenso a quali e quante stronzate ho dato retta, a volte quasi convincendomene, mi viene da battermi la testa nel muro.
E pure dispiacendomi che un povero muro debba ricevere la mia gran testa di cazzo.
Bisognerebbe che vi ci spedissero a forza, in quella vostra mitica America. Voi che "non ci siete mai voluti andare per non distruggere il mito".
Bisognerebbe che vi ci facessero figliare.
E poi bisognerebbe che i vostri figli li mandassero alla scuola elementare Sandy Hook di Newtown, così tanto per mettere in pratica le vostre teorie. I vostri sogni. I vostri miti.
 

giovedì 13 dicembre 2012

Piazza Dalmazia un anno dopo. Preghierine, ministri, musichette, espulsioni e fascisti a scorrazzàr.


Nella foto sopra: piazza Dalmazia, a Firenze, la mattina di un anno fa 13 dicembre 2011. Con i cadaveri a terra di Mor Diop e Samb Modou, i due immigrati senegalesi ammazzati dal nazista Casseri, membro attivo di Casapound.

Da un po' di tempo è entrata (in Rete e altrove) tra le varie mode alternative, o roba del genere, quella di dire di "essere contro gli anniversari"; la voglia di distiguersi in qualche modo, e di assumere le famose "posizioni originali" (una vera e propria droga di questo inizio di millennio), unita alla classica dose di finto cinismo che fa tanto figo, ne è senz'altro alla base. In casa mia, che è un buco, tengo tre calendari; senz'altro gli anniversari altro non sono che convenzioni. Ma sono tutt'altro che contro gli anniversari; mi è sempre interessato il tempo che passa, e soprattutto la maniera in cui passa in un dato luogo e in date circostanze, in seguito a un dato avvenimento.

Senza stabilire un pur convenzionale anniversario dalla strage fascista di Piazza Dalmazia, non sarebbe ad esempio possibile, oggi, camminare per il mercato di San Lorenzo senza avere una pur minima volontà di osservare. E si osserva, ad esempio, che in uno dei due luoghi della strage made in Casapound ci sono gli stessi senegalesi di sempre, che il comune ha risistemato (e forse addirittura aumentato) i cartelli con la scritta "ABUSIVI" e la foto proprio di senegalesi, e che il mercato di San Lorenzo è sempre più vuoto. Espulsione sia degli "abusivi" africani, sia dei bancarellisti "regolari", che peraltro vendono la stessa identica paccottiglia per turisti. Ai primi ci pensano le pattuglie dei vigili urbani "addestrate", dalle quali prima o poi spunterà fatalmente fuori un Amigoni fatto in casa; ai secondi ci pensa direttamente il "sindaco del bello", nonché trombato alle "primarie", nonché dioboy-scout o comunque lo si voglia chiamare. Aumentando a dismisura la tassa per l'occupazione del pubblico suolo, in modo da eliminare gradualmente il mercatino. La strategia è stata chiara: prima la "creazione del problema-abusivi", orchestrata dai potentati cittadini e dai loro media ("Nazione" e "Repubblica" in primis, gentilmente coadiuvati da vari altri fogli & foglietti oramai tutti scomparsi), con l'ovvia contrapposizione tra i "bravi lavoratori che pagano le tasse" e i "clandestini che li mandano in rovina"; poi i vari battage a base di degradi, paure, terrori e quant'altro, ingigantendo piccoli episodi senza nessun significato; infine l'unione tra ridicole considerazioni "estetiche" (una specialità di Renzi), la persecuzione giornaliera nei confronti degli "abusivi" e la cacciata dei "bravi regolari" che le tasse non possono più pagarle e, quindi, sloggiano. L'intento è anche fin troppo chiaro: quello di consegnare una zona centrale e appetitosa come S.Lorenzo a localini vari, wine bars, negozi di stracci a caro prezzo (quelli sulle bancarelle sono perlomeno stracci a prezzi abbordabili), uffici, appartamenti "di prestigio" e quant'altro. La cara, vecchia speculazione. La delocalizzazione degli abitanti nelle periferie sempre più estreme, e la trasformazione dei centri storici in Disneyland "monumentali" e supporti per banche, lussi, "intrattenimenti" vari e strutture per il turismo. A distanza di un anno dalla strage avvenuta anche a S. Lorenzo, la cosa è ancor più chiara. Basta andare a fare un giro, magari spostandosi poi nell'Oltrarno con il quale stanno cominciando a fare il medesimo giochetto, anche se forse con qualche resistenza in più.

E, così, eccoci arrivati a questo primo anniversario della strage del Casseri, iniziata in piazza Dalmazia. Mi si perdonerà se sembra che ne parli con scarsa partecipazione e poca "commozione"; in realtà è tutt'altro. Il fatto è che, a differenza di tanti che oggi sto leggendo, a Firenze ci sono nato e ci vivo; e non amo né i panegirici del tutto vuoti di senso, né le invettive contro Firenze e i fiorentini pronunciate dai classici, stupidi studentelli fuori sede. Amerei invece che chi parla di una città, Firenze o qualsiasi altra, lo facesse dopo aver osservato attentamente quel che vi accade; i suoi meccanismi, insomma. Le sue peculiarità e quel che invece ha in perfetta comunanza con altre situazioni; e Firenze avrebbe delle dimensioni tali da permetterlo. In generale, e a parte poche eccezioni, non si fa niente di tutto questo; ma continuiamo, visto che oggi è un anniversario, a camminare per il mercato di San Lorenzo.

Ci si accorge che esiste una qualche sparuta opposizione, più o meno organizzata; ed anche che, verso di essa, viene operata una quotidiana repressione. Era del tutto ovvio, e fin dall'inizio, che verso una strage chiaramente nata in ambienti dell'estrema destra sarebbe stata giocata la carta della "follia", del "gesto isolato di un pazzo"; così com'è altrettanto ovvio che, al massimo, se ne sarebbe fatto un discorso di generica "cultura", di "accoglienza", di "integrazione" e di altre cose del genere che permettono ai poteri di sviare la questione dal suo nucleo. Il nucleo è che, a Firenze come altrove, ai fascisti viene consentito di scorrazzare liberamente, di fare ciò che vogliono, di sentirsi ben protetti. Sul fatto che Firenze sia una città "antifascista" avrei parecchie cose da dire, ma parecchie sul serio; questo, soprattutto, perché Firenze si trova in Italia e l'Italia è e rimane un paese organicamente e preponderantemente fascista. Chi si dice antifascista dovrebbe smetterla una buona volta di cullarsi a base di "resistenza" ed altre cose; prima di tutto perché la resistenza armata la hanno fatta in pochi, e poi perché l'antifascismo attuale non è minimamente capace di opporsi in modo efficace al nemico. Ieri sera ero ad un'assemblea che si teneva a pochi metri da Piazza Dalmazia, e nel quartiere ho notato la quantità più che notevole di scritte "CASAPOUND" sui muri. Avete capito perfettamente: a pochi passi da dove il Casseri di Casapound, un anno fa, ha compiuto la sua strage. Se, invece, si continua a camminare per San Lorenzo, ci si può anche accorgere che, a non più di cinquecento metri da lì, in via Sant'Anna, è stata fatta aprire la nuova sede di Casapound. A pochi metri dalla Questura. Quasi ne fosse una filiale, e che tra fascisti e polizia esista questo tipo di relazione lo si vede benissimo in Grecia, dove i membri di "Alba Dorata" integrano le forse antisommossa elleniche nella repressione delle manifestazioni, mentre i poliziotti greci integrano e proteggono i picchiatori di Alba Dorata nei loro raid sanguinosi contro gli immigrati (cinque morti e numerosi feriti gravi a partire soltanto dal mese di agosto). Non è affatto da escludere che una cosa del genere possa avvenire anche qui, ma non si combatte agevolmente contro questo stato di cose da una posizione antifascista che è, vorrei ribadirlo brutalmente, minoritaria.

(Tra parentesi: Ieri sera, l'assemblea antifascista cui ho partecipato si teneva in una storica Casa del Popolo fiorentina, la SMS -Società Mutuo Soccorso- di Rifredi. La prima Casa del Popolo fiorentina, fondata nel 1883. La prima ad essere stata data alle fiamme dai fascisti nel 1921. Un luogo nel quale si sono svolte tutte le lotte antifasciste fiorentine durante la guerra e nel dopoguerra. Bene. Ieri sera, un'assemblea antifascista è stata fatta tenere in una specie di gelido tendone da circo, con una temperatura di due gradi sotto zero, perché le sale interne erano occupate da una lezione di tango argentino e da un'assemblea condominiale. L'antifascismo, come vedete, nel luogo che era storicamente uno dei più antifascisti di Firenze è stato relegato nel tendone dando la preponderanza alla scuola di ballo e alle diatribe condominiali. Tutto questo mentre si stava commemorando la strage di piazza Fontana a cinquanta metri dalla strage di piazza Dalmazia. Può bastare?)


Così, stamani, sembra che questo primo anniversario della strage di Piazza Dalmazia e San Lorenzo sia cominciato nel modo più classico, e che mette d'accordo tutti: con una preghiera. La preghierina non può mancare. Per una cosa del genere si concede gentilmente che sia addirittura islamica; per i restanti giorni si fa fuoco e fiamme contro la "costruzione della moschea", tuttora il centro culturale islamico si trova in una specie di fondo di magazzino in piazza de' Ciompi e non si ha notizia di altro. La preghierina, naturalmente, va benissimo a tutti. Il Casseri è scomparso del tutto dalle commemorazioni ufficiali, o al massimo lo si nomina genericamente come "un folle". Guai a parlare di fascismo; Casapound, in questi giorni, imperversa a Firenze con una sua iniziativa in stile albadoriano, l' "Economia Legionaria" (sic), stipulando convenzioni con esercizi commerciali di ogni genere per vendite a prezzi agevolati alle "famiglie in crisi". Quindi, diàmogliene pure di preghiere, islamiche, cristiane e di ogni religione. Stanno bene a tutti, senegalesi compresi.

Non si creda che la "Comunità Senegalese", a parte qualche rarissima eccezione, ne abbia fatto del resto un discorso di antifascismo. Non è bastato nemmeno che due dei loro siano stati massacrati da un fascista italiano, per smuoverli. Si usi quindi l'intelligenza, pur mantenendo tutta la rabbia e l'orrore per un fatto del genere, di non fare dei senegalesi ciò che non sono e che non vogliono probabilmente essere. Si riconoscono nella religione islamica, non nell'antifascismo. A Firenze sono guidati, o rappresentati, da una specie di intrallazzone istituzionale, tale Pape Diaw, che flirtava a suo tempo con Rifondazione Comunista e che ora, credo, sia in ambito PD; uno che lo scorso anno, nell'immediatezza della strage e quando parecchi senegalesi manifestavano intenti di rabbia e di rivolta, si è adoperato in tutti i modi per gettare acqua sul fuoco arrivando persino a dichiarare di essere pronto a "dialogare con Casapound". Ma vai a dialogare in culo, vai.  Per il resto, quei bravi figlioli (perché bravi lo sono, sul serio) pregano Allah per tutta una serie di cose, si fanno cacciare via tranquillamente con tutta la mercanzia dai parcheggi del policlinico di Careggi (dopo i regolari reportages sdegnati della "Nazione" e di "Repubblica"), si vedono riposizionare i cartelli "ABUSIVI" a San Lorenzo e, chissà, sperano che il loro Padreterno non mandi ancora sulle loro strade dei "folli". In Piazza Dalmazia ci hanno avuto la loro lapide comunale, sperano nei ricongiungimenti familiari e, come mi disse uno di loro che staziona a vendere troiai fuori dall'Esselunga dell'Isolotto, "prego per i miei fratelli ma non ci posso fare nulla, mi dai cinque euro per una ricarica Wind?"

A Firenze come altrove, ogni giorno, va avanti la caccia all'antifascista, all'antagonista, al centro sociale; oggi, in piazza Dalmazia, ci sarà prima un presidio con minacce di pigliarsi anche la neve sul groppone, e poi un corteo. Ci andrò, ma ci andrò con queste precise cose in mente. Senza alcuno "sfavamento", ma tenendo esattamente conto della realtà. Realtà che mi dice che, nella giornata di oggi, a Firenze sarà tutta una sfilata di ministri, italiani e senegalesi. Tra quelli senegalesi c'è pure, pensate un po', il cantante Youssou N'Dour. Infatti la giornata si apre con la preghierina e si conclude con l'altrettanto immancabile musichetta. Il mega-concerto al "Mandela Forum" intitolato "Jokko", che vuol dire non mi ricordo che diavolo di cosa simbolica in lingua wolof. E dopo l'unione mediante qualche iddìo, quella mediante qualche musica. Balli, sette note, canzoni, e così l'atmosfera idilliaca da contrapporre alla "follia" è già bell'e pronta, con i famosi "perché non accada mai più" fino alla prossima volta, dato che gli autori della strage son belli tranquilli, fanno le scritte sui muri e l' "Economia Legionaria", si bevono il caffè e se magnano le pastarelle assieme agli amici e dirimpettai questurini, si presentano alle elezioni, incassano fiori di milioni dai borgomastri e fanno soldi a palate in altre ribelli e non conformi maniere. Possono fare i "fascisti del terzo millennio" perché gli antifascisti del secondo, che non erano poi così tanti comunque, non ci sono più. Ma sì, dai, meglio cantarci e ballarci sopra, ai cadaveri di quei due disgraziati; dopo averci pregato addosso, è quel che ci vuole. Per quel che mi riguarda, invece, avrei voglia di mandare in culo sia quel dio, sia quella musica di merda; ma non si può, ci mancherebbe. Rovinerei la festa.

lunedì 10 dicembre 2012

Letterina di Gesù Bambino ai piccoli poveri Cristi, a.D. MMXII



Carissime bambine, carissimi bambini di tutto il mondo,

Sono Gesù Bambino. Sì, d'accordo, lo so che vi sembrerà un po' strano che, quest'anno, sia io a scrivere una letterina a voi invece che voialtri a me; però, e davvero mi dispiace parecchio dirvelo, quest'anno la situazione lo impone. Siccome non sono avvezzo né ai preamboli, né alle pillole indorate, bisognerà che ve lo dica subito: quest'anno non scrivetemi. Non c'è più nulla. Quassù in Paradiso abbiamo esaurito tutte le scorte di magazzino, l'ultima bicicletta scassata la abbiamo regalata al figlio piccolo di Lance Armstrong assieme a una vecchia scatola del “Piccolo Chimico” ed è inutile, sono desolato, che mi spediate milioni di letterine dicendo che siete stati buoni e che volete questa o quella cosa per Natale. Lo so che siete stati buoni, accidenti se lo so; solo che siamo puliti. Finite anche le ultime trottole di legno di fabbricazione sovietica anno 1959, che non le volevano più nemmeno i famosi bambini del Biafra. Finita anche l'ultima bambola “Pierfilippa” della ditta Preganziol di Belluno, l'unica bambola che dice “Mamma, ma va' in mona, 'iocàn!”. Più nulla. Se proprio siete disperati, vi suggerirei per quest'anno di mandare le letterine a mio fratello Satana Bambino, casomai gli fosse rimasto qualcosa giù all'Inferno; ma, purtroppo, non sono sicuro che anche lui ci abbia ancora qualcosa per voi, e comunque sappiate che quel discolaccio è abituato a chiedere sempre qualcosa in cambio, tipo la vostra candida animuccia. Pensateci bene, insomma.

Insomma, ragazze e ragazzi, quest'anno è andata così. Anche voi seguirete un po' la situazione generale, e saprete che è davvero un bel casino, ma di quelli duri. E non crediate che la cosa riguardi soltanto la Terra; anche quassù ne' Cieli è esattamente la stessa cosa. Voialtri laggiù ci avete la Grecia in bancarotta, qui ci abbiamo il Purgatorio che oramai è al collasso e sta chiedendo, oramai, prestiti non dico ai Musulmani (che, poi, mica se la passan tanto bene manco loro nonostante il petrolio...), ma addirittura agli Indù, ai Buddhisti e persino a quei cialtroni della Soka Gakkai. Voialtri laggiù vi intortano ogni dieci minuti con la “ripresa”, e quassù a noialtri la “Standard & Poor Christ” ci abbassa il rating di una croce. E che i vostri genitori non si lamentino troppo della Banca Mondiale, perché quassù noi ci abbiamo a che fare con la Banca Universale e vi assicuro che sono peggio. Cristo, se sono peggio! E se Cristo lo dico io... Insomma, solo per dirvi che anche mio Padre, oramai, non sa più che pesci pigliare (quindi avverto che, quest'anno, non vi saltino in testa moltiplicazioni e roba del genere; al massimo vi potrò trasformare un po' d'acqua in Tavernello e vedere di riprodurre qualche scatola di sardine del Lidl). Poveraccio, mi fa una pena davvero infinita e vorrei fare qualcosa per lui, ma sono troppo piccolo e poi vai a contare su quell'altro, mio cugino lo Spirito Santo. Quello se n'è sempre fregato, non si sa mai dove sia e quando a volte lo si vede fa du' lucine, du' bip bip e se ne va.

Capisco bene, bambine e bambini, che nelle vostre famiglie non sarà un Natale troppo giojoso. Sotto l'alberello troverete, mi sa, gran chicchirillò legati a un filo. La cosa che mi spiace di più è che non c'è manco più una pistola giocattolo da mandarvi, ché almeno avreste potuto organizzare qualche rapina a mano armata nei negozi di balocchi; andrà a finire che vi toccherà imparare a maneggiare quelle vere, di pistole. Sembra che funzionino anche meglio, e se vi organizzate un po' ci sono, pare, tante belle banche e, va da sé, anche il deposito di Paperone. E non crediate, purtroppo, di bypassarmi elegantemente scrivendo a Babbo Natale; lo so che lui viene dalla ricca Scandinavia, ma i governi della Norvegia e della Finlandia gli hanno intimato di attenersi alle votazioni dei rispettivi parlamenti che hanno negato gli aiuti ai PIGS. Quindi, ciccia. Cercate di informarvi se, che so io, nella tradizione svizzera esiste qualche zio o biscugino Natale, ma sugli svizzeri -fossi in voi- non ci conterei troppo. Quel che posso fare per voi, cari i miei piccoli poveri cristi, è di passare comunque un Natale sereno assieme ai vostri babbi e alle vostre mamme, mangiando pasta condita col pomodoro del discount e würstel al sapore di varecchina insaporiti col buon ketchup “Ilva” (una specialità tarantina). Insomma, ci sarà prima o poi 'sta ripresa; io, come sapete, sono condannato a rinascere ogni anno a fine dicembre e non è che mi vada troppo passare dei Natali di merda come questo. Già non bastasse quel cazzo di mangiatoia gelata, e quei tre dementi che ogni anno mi portano oro, incenso e mirra. Il primo, vabbé, lo posso andare a rivendere a un Compro Oro (brutti ladri schifosi, peraltro), ma dell'incenso e della mirra me ne fo una bella sega.

Immagino, disgraziatamente, che nelle vostre famiglie l'atmosfera non sia delle migliori, considerando poi questa tegola dell'esaurimento dei regali. Cercate, bambini e bambine, di non aggravare la situazione. Ve lo dico per esperienza. Come sicuramente sapere, a me tocca addirittura barcamenarmi con due famiglie; di quella celeste ho già detto, ma in quella terrena non crediate che vada meglio. Anzi. Il mio padre putativo, Giuseppe, è stato messo in mobilità indeterminata dalla Cooperativa Falegnami dove lavora, non esagero, da un paio di millenni. Bella roba! Bella gratitudine! Un carpentiere specializzato, che quando son nato lo hanno tenuto per quattr'anni a fare non so che cosa fuori dalla Giudea, lasciando sola mia madre dodicenne. Nulla da fare. A lui si che gli è arrivata la letterina, ma di licenziamento. Mia madre, poveraccia, è seriamente una santa donna; ma santa quanto, non ve lo potete nemmeno immaginare. Anche lei vittima di un inganno padronale per il quale non so trovare le parole. Pensate: il 15 agosto era stata assunta. A tempo indeterminato. Avevamo organizzato una festa bellissima, che avevamo chiamato, appunto, l'Assunzione. Mamma era talmente contenta da farsi chiamare Maria Assunta. Tutto sistemato? Macché. La crisi si è abbattuta sull'azienda, poi ci s'è messo pure il terremoto di Finale Galilea che ha fatto crollare il capannone, e a novembre era già di nuovo a spasso. E, in casa, è scoppiato il putiferio; sì, perché ovviamente le prime ad essere state rimandate a casa sono state le dipendenti. Ora, credetemi, c'è un'aria da tagliare col coltello; mio padre si è messo a bere come un'autobotte, torna a casa briaco marcio e, naturalmente, appena apre l'uscio piglia la mamma a mazzate; le urla che è una poco di buono, che io non sono suo figlio (come se non si sapesse...), che prepara del pane azzimo da fa' dà' di 'onco ar majale (qui usa di solito il dialetto samaritano) e che, un giorno o l'altro, ci pensa lui. La povera mamma è disperata, sarebbe intenzionata a chiedere la separazione, ma ha anche una gran paura delle reazioni di quell'energumeno. E anch'io. Senza mezzi termini, temo una strage familiare, anzi, una sacra strage familiare. Prima o poi quello torna con gli attrezzi e ci mette in croce a tutti nell'orto, altro che Calvario.

Anche per questo, care bambine, cari bambini, sono io, quest'anno, a scrivervi una letterina. E' nel vostro interesse. Se il babbo ci ammazza, maremma putativa, addio Natali. Il prossim'anno, il 25 dicembre vi tocca andare a scuola come tutti gli altri giorni. Sì, lo so, mi direte: oh, bella fica, ma tanto a te ti salva il tu' babbo quello lassù, quello vero. Mica tanto semplice; prima di tutto ha un'età che si dimentica anche che c'è l'acqua in mare, e capirete che è un bel pezzo avanti con l'alzheimer. Poi, oramai, me ne ha salvate talmente tante (a partire da quel giorno che gli ho fatto saltare un contratto principesco con l'Associazione Venditori nel Tempio) che non so se vorrà fare ancora qualcosa per me. Su mio cugino lo Spirito Santo, ve lo ripeto, non c'è da contare; insomma, sono nella merda. O aiutate me e quell'altra mia famiglia, o son dolori.

Non ce l'avreste un babbo imprenditore edile che potesse assumere il mio, di babbo? Se lavora sodo smette di bere, va a letto presto, ridiventa il dolce babbino che ho sempre conosciuto e chiude pure un occhio (e, forse tutti e due) su qualche avventuretta della mamma con certi arcangeli che so io. Non chiedo la luna, un posto da carpentiere semplice, roba del genere; ma, così, saremmo salvi e io potrei tornare tranquillamente, passata la crisi, a distribuire regalini a voi bambine e bambini buoni. Quanto alla mamma, per il prossimo 15 agosto, non è che potreste procurarle un'altra assunzione, stavolta anche a tempo determinato? Un posticino da precaria? Signora Fornero, sappia che quand'era piccola, anche lei mi ha scritto la letterina e io le ho fatto avere il Dolceforno e il pelouche Puffolotto. Anche a sua figlia! Le assicuro che la mamma non è “choosy”, le va bene anche un posticino in un'impresa di pulizie, basta che ci abbiamo un reddito per qualche tempo! Insomma, ragazze e ragazzi, fate qualcosa per il vostro Gesù Bambino. Altrimenti, non so davvero come andrà a finire, qua. Altro che paradiso, e la rivolta già monta. Voglio proprio vedervi se, l'anno che viene, vi ritroverete con la Repubblica Socialista de' Cieli!

giovedì 6 dicembre 2012

6 dicembre: Comunicato della WPA (World Pig Association)


Dalla WPA (World Pig Association) riceviamo e volentieri pubblichiamo.

" Oggi è il quarto anniversario dell'assassinio del giovanissimo Alexis Grigoropoulos, ucciso a sangue freddo da un agente dei 'reparti speciali' della polizia greca ad Atene, il 6 dicembre 2008.

A nome dei suini di tutto il mondo vogliamo esprimere, anche a quattro anni di distanza, tutto il nostro dolore per la morte di Alexis. Neanche noi abbiamo scordato. Neanche noi abbiamo perdonato. Come potremmo?

Noialtri maiali, fin da piccolissimi, subiamo normalmente una morte atroce nella massima indifferenza generale.

Anche per questo, non comprendiamo perché un diffusissimo slogan, che dalla Grecia si è sparso in tutto il mondo dopo il feroce assassinio di Alexis, ci accomuni alla polizia.

ΜΠΑΤΣΟΙ ΓΟΥΡΟΥΝΙΑ ΔΟΛΟΦΟΝΟΙ. Cioè: Sbirri maiali assassini. Completamente d'accordo per gli assassini, ma noi maiali che c'entriamo?

A quanto ci risulta, coi poliziotti (greci e degli altri paesi) nessuno compie opere di macellazione e di trasformazione in bistecche e salumi. Sono casomai costoro che si occupano, da sempre e come loro compito "istituzionale", di macellare gente inerme. Non per niente, a Genova nel 2001 si è parlato di "macelleria messicana".

Noialtri suini siamo vittime quotidiane della violenza gratuita degli esseri umani, e troviamo quindi profondamente ingiusto essere accostati, sia pure in uno slogan che contiene una verità, alla Polizia e ai suoi sbirri. Né greci, né di qualsiasi altro paese.

Specialmente in questo periodo dell'anno, in cui tradizionalmente siamo scannati a milioni, nel partecipare con rabbia e solidarietà al dolore e al ricordo per l'assassinio di un ragazzo di quindici anni, ribadiamo la nostra volontà di non essere più nominati assieme ai poliziotti. Noialtri maiali non siamo assassini, anche se agli umani piace parecchio ammazzarsi ingozzandosi a dismisura delle nostre carni.

Sarebbe sufficiente, nello slogan di cui sopra, sostituire alla parola "maiali" ciò che invece sono effettvivamente i poliziotti greci: fascisti.

Poiché oramai il partito neonazista di "Alba Dorata" è una vera e propria succursale della Polizia (o meglio: la Polizia greca sta diventando una succursale di Alba Dorata), basterebbe gridare: ΜΠΑΤΣΟΙ ΦΑΣΙΣΤΕΣ ΔΟΛΟΦΟΝΟΙ. Sbirri fascisti assassini. E' ciò che sono: fascisti e assassini. In Grecia come altrove.

Confidiamo che questa nostra richiesta, a nome dei pacifici maiali di tutto il mondo, verrà accolta. Noi ci possono piacere i massacri di qualsiasi essere vivente, e massimamente quelli perpetrati dagli Stati e dai loro bracci armati.

Ancora con un ricordo commosso di Alexis. "

La World Pig Association / Associazione Mondiale dei Suini.

martedì 4 dicembre 2012

L'Uomo Lombardo e l'Avvelenatore


La storia della "Donna lombarda" è antichissima; c'è chi, come Costantino Nigra, ha voluto farla risalire addirittura all'epoca longobarda, con la vicenda di Rosmunda e Elmichi. Fatto sta che la famosissima e tragica ballata degli amanti che vogliono avvelenare il marito di lei, salvato però dal prodigioso intervento del piccolo figlio (con la conseguente, e ovvia, punizione della fedifraga) è diffusa letteralmente in centinaia di versioni, sia in Italia che in Francia (dove pure si chiama "Dame Lombarde" o "L'empoisonneuse"). La cosa singolare è che la ballata sembra essere originaria della Val di Susa (da qui la diffusione anche in Francia, senza quasi cambiare una virgola nella vicenda); terra che, attualmente, ha a che fare con ben altri avvelenatori. Come questi due signori qua sopra, ad esempio; il "bocconiano", nonché banchiere vaticano, e monsieur le Président "socialista". Una perfetta identità di vedute, che hanno ribadito anche ieri nel loro solito "vertice" impegnandosi a realizzare il TAV entro il 2030 o roba del genere. "Ineluttabile", "Da oggi non si torna indietro", eccetera; forse, però, qualcuno dovrebbe dir loro che non si tornerà indietro ma, intanto, non si va nemmeno avanti. Chissà perché. Nel frattempo, avrei intenzione di dedicare loro, giustappunto, le ballate (quella italiana, in una famosa versione toscana cantata dalla grande Caterina Bueno; e quella francese, in una splendida versione dell'altrettanto grande Véronique Chalot), "leggermente" rielaborate.  PS: Mario Monti è effettivamente lombardo, di Varese.

a. Uomo Lombardo


Uomo lombardo, perché non ci ami?
Uomo lombardo, perché non ci ami?
Perché ci ho il TAV,
perché ci ho il TAV.

Se tu ciài il TAV, lo devi fare,
se tu ciài il TAV, lo devi fare,
t'insegnerò;
t'insegnerò:

Lassù sui monti di Val di Susa,
Lassù sui monti di Val di Susa
che c'è un tunnèl,
che c'è un tunnèl

Tu fai aprire tanti cantieri,
tu fai aprire tanti cantieri,
scavali ben,
scavali ben.

Che serve a tutti pe' anda' in Uropa.
Che seve a tutti pe' anda' in Uropa
dagliela a be',
dagliela a be'

Torna il NO-TAV tutto incazzato,
torna il NO-TAV tutto incazzato,
vede il cantie',
vede il cantie'.

O Valsusino, che cazzo vuoi?
O Valsusino, che cazzo vuoi?
Ti becchi il cantie',
ti becchi il cantie'.

Uomo lombardo, vai alla Bocconi,
uomo lombardo, vai alla Bocconi,
si chiude il cantie',
si chiude il cantie'.

Uomo lombardo, che ci ha il cavolino?
uomo lombardo, che ci ha il cavolino?
Chili ventitré!
Chili ventitré!

Sarà l'uranio che s'è scavato,
sarà l'uranio che s'è scavato,
l'è anche fluoresce',
l'è anche fluoresce'!

S'alza un bambino di pochi mesi,
s'alza un bambino di pochi mesi:
NO-TAV, attento a te,
che c'è il vele'.

Uomo lombardo, se c'è il veleno,
uomo lombardo, se c'è il veleno
lo devi be' te,
e anche il Case'.

b. Les empoisonneurs



Allons au bois, charmant Hollande,
allons au bois;
Allons au bois, charmant Hollande,
allons au bois


Nous creuserons le tunnel, merde!
Nous le ferons.
Nous creuserons le tunnel, merde!
Nous le ferons.


Faut que ça marche, que ça bouge
jusqu'à Lyon;
Fait que ça marche, que ça bouge
jusqu'à Lyon;


On s' fout de tout, faut qu'on le fasse,
on le fera,
On s'fout de tout, faut qu'on le fasse,
on le fera.


On rasera villes, montagnes
pour Bundesbank,
On rasera villes, montagnes
pour Bundesbank,


Oh, par ma foi, mon amant Mario,
même Paribas,
Oh, par ma foi, mon amant Mario,
même Paribas.


Le montagnard jamais ne parle,
a bien parlé,
Le montagnard jamais ne parle,
a bien parlé,


Ça va êt' dur, on n'a pas peur
des présidents,
Ça va êt' dur, on n'a pas peur
des présidents.


Voyez un peu, charmant Hollande,
ils l'ont fermé,
Voyez un peu, charmant Hollande,
ils l'ont fermé,


Ah, par ma foi, mon amant Mario,
n'ont pas cédé,
Ah, par ma foi, mon amant Mario,
n'ont pas cédé.


Faut appeler les flics, les juges,
aussi l'armée,
Faut appeler les flics, les juges,
aussi l'armée,


Sinon on l'fait avec Lego
ce beau tunnel,
Sinon on l'fait avec Lego
ce beau tunnel.


tunnellego

venerdì 30 novembre 2012

Primavera



Dicono che arriveranno sempre meno rondini; le piogge acide, altri veleni e chissà cos'altro. Poi, comunque, è ancora lontanissima. E' lei che hanno scelto per i conteggi; ha venti, cinquanta, ottanta primavere. Mai inverni, estati o autunni.

Ma la primavera può essere ancora una stagione fredda, e piovosa. Secoli fa un poeta svedese, Lars Wivallius, si lamentava per una fredda e secca primavera; ne se stava rinchiuso dentro una cella di galera, e pensava alla tiepida pioggia primaverile che non arrivava.

Scrisse una lunga poesia intitolata Klage-wiisa öffuer thenna torra och kalla wåår, nella strana e incerta ortografia che aveva la sua lingua nel '600; me ne ricordo, di quando la leggevo meravigliato in anni in cui le primavere erano tornate stupide e calme.

Un siciliano cantava di "stupide galline che si azzuffano per niente" e seppelliva a suon di musichette le primavere della passione, le primavere delle rondini abbattute, le primavere calde e fredde del cambiare. Nessuno gliene ha mai chiesto conto. Ora fa l'assessore regionale.

Marzo. Il mese che più aspetto ogni anno. Marzo di portici e pallottole conficcate nel muro. Marzo di quelle ultime voci da una radio, mentre stavano abbattendo la porta e entrando d'autorità. Marzo di un corridoio insaguinato. Marzo lontano.

Le primavere e le città. Ci si muoveva per le città veramente al passo delle stagioni. La vita era fatta assieme al clima e a quei vestiti economici; l'eskimo nacque solo perché costava poco, e non era nemmeno che lo portassero tutti.

E ritrovarsi soli a percorrere vialetti di parchi dove ancora c'erano le foglie secche dell'autunno precedente. Ragazzini che immaginavano. Non c'eravamo e c'eravamo lo stesso; toccava tutti quanti. Se nel cuore batteva comunque una pur incerta stilla di rabbia, c'eravamo.

E le città sembravano essere libere. Le piazze erano come le rondini, arrivavano a primavera. Si vedevano delle facce e degli sguardi che non erano mediati da nulla; sterminio. E, laddove non ci fu lo sterminio, silenzio. Opportunismo. O la scelta di camparci sopra per il resto della vita.

Le primavere che s'infuocavano all'improvviso. Ora, quando la temperatura si alza, trovano dei nomi infernali: Caronte, Satana o roba del genere. In quelle primavere i nomi erano via Mancini, via Nazionale, via del Pratello.

Ma, penso, per provare una qualche forma di nostalgia bisognerebbe esserci stati. "Nostalgia" vuol dire "passione per il ritorno"; e non si può voler tornare dove non si è mai stati. Eppure, è comunque qualcosa del genere.

Qualcosa del genere assieme a tutte le rabbie quotidiane, assieme alle pochezze e alle mediocrità scoperte in chi credevi ne fosse immune, assieme alla stratificazione del tempo, assieme a un presente che, con tutte i suoi orrori, fra trent'anni apparirà allo stesso modo.

La primavera non comincia il ventuno di marzo. E' l'unica stagione che comincia con la sua lunga attesa. In casa abbiamo più di un calendario; quello coi gatti, quello con l'Isola, quello col rivoluzionario barbuto, i bambini, i prigionieri baschi.

L'armadio e i cassetti coi soliti maglionacci bisunti che non si buttano mai via. Le magliette acciorcellate. I pensieri di come dev'essere stato morire a vent'anni, lo sparo, l'ultimo momento, le ultime parole dette. Per qualcuno sarebbero potute essere "dammi una sigaretta".

Poi, dopo, è stata scoperta la parola "generazione". Una generazione se ne accorge sempre dopo, di esserla stata; è una parola, sempre, da vecchi. Ha quel suono biblico, quella consistenza sacrale che dev'essere amata molto da chi ha vissuto un dato periodo.

La generazione che ha perso. La generazione incarcerata. La generazione massacrata dall'eroina. La generazione della rivoluzione. La generazione seppellita da una canzonetta di enorme successo dove le si dava di stupide galline.

Per questo io continuo a parlare della primavera; la primavera non ha generazioni. A Santiago era quasi primavera in quel remoto settembre. A primavera inoltrata spuntavano sempre delle magliette che sembravano troppo strette.

Sol warma, förbarma! Caldo sole, abbi pietà! Il poeta sembra fosse, come spesso accade, un fior di truffatore. Era finito in carcere per avere abbindolato la figlia di un importante nobiluomo facendole credere di essere ricco, mentre non aveva un soldo; e l'aveva sposata per fregarle la cospicua dote.

Chissà come sono le stagioni in carcere. Se in galera c'è una primavera. Eppure ci si pensa; in prigione sei a Pisa e non sei a Pisa, come ragionava Adriano Sofri, e sei in primavera e non ci sei. O, forse, ci pensiamo così tanto perché la galera è ovunque.

Ma che importa; già che importa. Arriverà puntuale, col sole o con la pioggia. Con un anticipo d'estate o con una coda d'inverno. Col vento forte o con la bonaccia. Sarà bene, comunque, tenersela stretta e abbandonarsi all'attesa.

Sarà nuova? Certo che sì. Se non è nuova, sei morto. La vita è, grosso modo, il nostro unico lusso. Dai, su; a primavera tutto cambia. Una notte, senza quasi accorgersene, ci si stenderà su un prato immaginario, e si sentirà la rugiada calda.
 

giovedì 29 novembre 2012

Inverno



E così, mentre celebrano l'orgia collettiva delle loro "primarie", mentre due facce di merda si "confrontano" sui teleschermi, mentre tutto quanto, la repressione si abbatte ancora. Quanti arresti? Diciannove, venti, cento, che importa.

Gli spazi sono stati chiusi. Tutti. Anche io comincio a avere parecchia paura nello scrivere certe cose. Ho sempre detto che questo è un piccolo blog dimenticato, ma c'è chi non se ne dimentica affatto.

La loro "democrazia" e la loro "giustizia" martellano. Tutti devono uniformarsi. Noialtri, rinchiusi oramai in ghetti che verranno prima o poi smantellati. Quante energie spese. Quante attività piene di sogni e speranze. Quante vite spezzate.

E abbiamo un bel dire "andiamo avanti". No. Non andiamo avanti. Ci hanno massacrati, chi in un modo, chi nell'altro. Forse è anche giusto così. Dicevamo di lottare per una classe, per gli emarginati, per i più deboli. Cioè per noi stessi, perché siamo noi i più deboli.

E si sono riempite le galere e le case trasformate in galere. Loro ci hanno la "legalità", e non solo loro. Ce l'abbiamo anche parecchi di noi, ci è entrata dentro per forza. Il pensiero unico vince, e devi obbedire alle sue regole. Sennò finisce male.

Devi obbedire alla "democrazia", devi rispettare il signor giudice da vivo e da morto, ti è concesso di urlare un po' ma poi devi mettere la testa a posto perché sennò te lo fanno capire non solo loro. Anzi, prima di tutto te lo fanno capire tanti tuoi "compagni".

Puoi sì fare il NO TAV, ma il tuo dissenso lo devi "esprimere civilmente", così civilmente ti smembreranno la valle, la casa, il territorio, tutto. Puoi fare sì l' "antagonista", ma guai se antagoni troppo.

Deve restare tutto non soltanto nei limiti della "legalità", ma del gioco. Un gioco da ragazzi, anche per chi magari ragazzo non lo è più da un pezzo. Se giochi e basta, dai, ti si fa giocare almeno per un po'; poi basta.

Quando il gioco diventa troppo serio, allora ci pensano da qualche ufficio dove ex studenti di "umile famiglia" o ex studentesse di Trani provvedono a mettere la loro firma su un foglio di carta da trasmettere per l'esecuzione.

E ti finiscono di galere, e di multe. Prima danno, ma non sempre, qualche avvertimento a cura della loro polizia. La polizia sa essere benevolente. Ti sorvegliano. Ti scrutano. Ti leggono. Non hai mezzi per sfuggire, e poi a che servirebbe?

Prima di finire dentro, in una cella o in camera tua, dicevi di fare tutto alla luce del sole. Dicevi di non avere paura. Dicevi di "resistere", quante volte l'avrai detta quella parola? Dicevi di "non arrenderti". Ma per chi?

Per chi, magari, in questi giorni ha fatto a gomitate per andare a scegliere tra due tizi che non sono nulla. E lo sanno anche bene, che non sono nulla. Lo sanno bene che sono solo due marionette che ubbidiranno altrui, eseguendo fedelmente.

Per chi, magari, prova pure "simpatia" per te ma, venuta la tua alba, ti lascerà solo come un cane. Per chi blatera di "solidarietà" ogni giorno, ma non è disposto a rischiare più di tanto. E non è neppure da biasimare o maledire.

E allora ti lasci andare. Ed è orribile, lasciarsi andare. Orribile "fare altro", ma non c'è più scelta. Si finge di accettarlo serenamente, in quanto ineluttabile. Si prende coscienza dei rapporti di forza, e definitivamente.

La forza non è e non è mai stata nelle idee, se le idee non sono state aiutate dalla coscienza e dalla rabbia. La coscienza e la rabbia non si vendono al mercato. La coscienza e la rabbia non possono essere individualiste.

Si riconosce che la nostra individualità non serve a creare rapporti di forza che possano cambiare le cose; si riconosce anche che la propria azione collettiva, ancorché divisa, frammentata, spezzata da odi e incompatibilità insanabili, è troppo debole.

Si riconoscono tutte le baggianate della "comunicazione" esasperata. Ci si è creduti tanto forti perché c'era la Rete, ma la Rete ha creato soltanto parole su parole, mentre i fatti diventavano soltanto galere.

Ci siamo esaltati per i quattordici dicembre e chissà quali altre date, pensando che "fosse cambiato il vento". Il vento, invece, spira sempre da una parte sola. Abbiamo pensato di poterci opporre, e lo abbiamo fatto. Ma in pochi. E sempre meno.

Abbiamo sperato di non dover mai pronunciare la frase "e ora che ne sarà di noi". Anche perché non ne sarà nulla. Probabilmente continueremo. Qualcuno si fermerà. Non è più nemmeno un tradimento fermarsi, è comprensibile.

Abbiamo giurato di non dire mai che hanno vinto loro, e di continuare ad ammazzarci mentre non abbiamo più un lavoro, non abbiamo più un soldo, non abbiamo più chi ci stia a sentire veramente. A che è servita la "comunicazione"?

Ci siamo persi in mille e mille diatribe, sempre le stesse, sempre senza soluzione. C'è stata la repressione tremenda, e c'è stata anche l'autorepressione. Rancori senza fine. Accuse. Sarcasmi distruttivi. Anatemi. 

E io mi ritrovo qui, con un sigaro in mano, davanti a uno schermo. A fare qualcosa per sopravvivere. Perché, vivere, quello togliamocelo una buona volta dalla testa. Si sopravvive e basta, e non si sa per quanto ancora.

E si continua, sì, a dire fare organizzare; sapendo a che cosa si andrà incontro, prima o poi. Un bel giorno si diventerà come quei diciannove di oggi a Torino, preceduti dai ventisei, dai dodici, dai tredici, dai quaranta.

Oppure, un altro giorno, si diventerà come quelli che hanno scelto di mollare, di godersi la ragazzina, di scrivere stronzate sui pugili italoamericani, di esercitare il "ricordo", di accomodarsi in qualche passato.

Oppure ancora, si diventerà dei simpatici professionisti dell'attesa, o della consolazione che "servirà anche se non lo vedremo". Professionisti dell'illusione di aver creato un po' di coscienza.

Chilometri, scarpinate, panini impossibili a ore strane, finanziamenti, comitati, manifestazioni che non manifestano più nulla, presìdi per gli arrestati, arresti per i presìdi. La collezione delle denunce. Il solito avvocato di fiducia.

Le udienze preliminari. Il giudizio di primo grado. Il secondo grado che ti fa sempre vedere quanto si divertano a giocare a palla con te. I cantieri, i tunnel, i morti, i suicidi, i fascisti, le feste della legalità, gli estintori, i "qualcuno vive, i morti siete voi".

Poi, certo, ce lo avevano detto pure quei signori e quelle signore che, a vent'anni o giù di lì, stavano per fare la "rivoluzione". E' capitato che neppure dalla polizia io abbia sentito un disprezzo così profondo per chi è venuto dopo e si è ritrovato in altri tempi.

E' capitato che abbia sentito e letto più vicinanza a Cossiga che a Sole e Baleno. E' capitato questo ed altro, poi ho smesso di addannarmici. E' capitato di ricevere insulti, sceneggiate, dichiarazioni di inesistenza; e intanto tutto andava avanti.

Andava avanti e si avviava alla fine, all'ennesima fine. Non è, del resto, una novità capire che, comunque vada, loro faranno ciò che vorranno o che qualcun altro dirà loro di volere. Non ci sarà nessuna "sollevazione" anche se, oramai, siamo condannati a dire di crederlo.

Diventerà, tutto, la solita piccola anarchia personale, vissuta più o meno conseguentemente anche se ci sarà sempre qualcuno pronto a spararti mitragliate di coerenza (la sua, naturalmente). 

Oppure diventerà tutta una interminabile sequenza di assemblee dibattiti iniziative comunicati appoggi e via discorrendo. Dopo un po' ti sembrerà assai più rivoluzionario accarezzare il gatto che dorme o prepararti una zuppa di ceci bella calda.

Avrai da barcamenarti finché campi, e sodo. Proclamerai la necessità di abbattere il Capitale senza, in fondo, che tu abbia mai saputo perfettamente che cosa sia, 'sto Capitale. Lo intuisci e basta, il Capitale, sono entro determinati metri da casa tua.

Ci avrai in bocca la parola "globale" mentre il tuo globo si restringe sempre di più. Non lo vorresti, ma è così. Vedi sempre le stesse persone, le chiami "compagni" e vuoi loro bene. Un giorno, uno va via. Uno muore. Un altro si defila. Un altro resta, ma diverso. 

Quel posto là lo sgomberano. Quell'altro non c'è neppure bisogno di sgomberarlo, si autosgombera nell'impossibilità, nell'inconcludenza, nella povertà, nei gruppetti che dettano una linea che non sanno più manco loro quale sia.

Ti farai i tuoi figli e le tue figlie, oh le nuove leve, ci scherzi, sei felice, arresti domiciliari e pannolini, il digossino che te dice ahò ciai un pupetto, ma chi te lo fa fà. I diciannove usciranno e qualche altro Luca Abbà farà i tuffi dal traliccio.

Ti troverai nell'impasse di non poter mai dire che è stato tutto inutile, ma constatando che non è stato nemmeno utile. Troppo pochi. Troppo male in arnese. Troppo avversi l'uno all'altro, e guai a non esserlo. Fregati, come sempre, dalla maledetta "purezza".

Ah sì, dimenticavo. Te ne andrai, a un certo punto, nel Chiapas. O in Nicaragua. Te ne andrai dovunque, via dal tuo famoso "paese di merda". Te ne andrai in mezzo agli affamati, ai bambini scalzi, te ne andrai a inseguire le tue rivoluzioni. Lo hai sempre fatto.

Oppure resterai dove sei, tanto un posto vale un altro. In quel buco di casa tua arredato coi mobili della multinazionale che fa manganellare i suoi lavoratori. Coi tuoi libri, il tuo pc, il gatto adorato, il tuo amore lontano e l'Equitalia in cassetta.

In fondo a tutto questo, ti alzerai e aprirai la porta. La notte è fredda. Arriva dicembre. Dovrai trovare qualcosa da dirti di più intelligente della solita, gesuita "speranza". Dovrai pigliare il mondo e rovesciarlo, da solo.

martedì 27 novembre 2012

Pour en finir avec les syndicats




Il titolo di questo post non è in francese né per snobismo, né per qualche altro frivolo motivo. Vuole riecheggiare precisamente il titolo di una raccolta di canzoni, Pour en finir avec le travail, pubblicata nel 1974 da Jacques le Glou. Alla raccolta collaborò Guy Debord con due canzoni; contiene anche La vie s'écoule, la vie s'enfuit, scritta da Raoul Vaneigem.

Voglio dirlo fin da subito: l'importanza odierna dei sindacati non è in discussione. Oggi, forse, sono importanti ancor più di prima, e per motivi ben precisi e funzionali. Se, diciamo fino agli anni '80, i sindacati sembravano perlomeno sostenere la classe lavoratrice nelle sue lotte (ma frenandone al contempo le spinte rivoluzionarie promuovendo il "dialogo" -antesignano della "concertazione"- e incanalando le battaglie nell'ambito del recupero contrattuale), adesso la funzione primaria dei sindacati (primaria e assolutamente non celata) è quella di sostenere il Capitale, di assicurarne la produttività e di gestire i movimenti dei lavoratori in modo del tutto subalterno alla relazione tra offerta e domanda del lavoro. Qualcuno si è spinto a definire i sindacati odierni come la polizia del Capitale; non la ritengo un'osservazione fuori luogo, un'osservazione che -tra le altre cose- mette perfettamente e brutalmente in luce da che cosa derivi realmente la loro indubbia importanza: quella di una "forza dell'ordine" che garantisca l'obbedienza al padrone con cui il sindacato condivide metodi e finalità.

La parola chiave è "contrattazione". Da qui, la necessità di eliminare una volta per tutte il termine "lotta" (coi suoi sinonimi) da ogni questione che riguardi l'attività sindacale. Si tratta di uno stato di cose accuratamente preparato nei decenni scorsi, in Italia come altrove; in questo, non ha alcun senso scagliarsi esclusivamente contro i "sindacati italiani" dato che si tratta di un'evoluzione a livello globale. In ogni paese, ad un certo punto, l'asservimento dei sindacati generali (di qualsiasi tendenza politica) al Capitale, talmente palese e alla luce del sole da far sorgere una nuova categoria politica di lavoratori (quella degli "operai di destra", che tante finte bocche spalancate ha provocato seppure fosse divenuta assolutamente attendibile e logica, specialmente con il pattume degli "immigrati rubalavoro" che tanto successo ha avuto), ha causato delle reazioni "resistenziali", come ad esempio qui da noi i Cobas. Niente che si spostasse, ovviamente, dalla questione puramente rivendicativa; casomai si insisteva (e si insiste) sui "metodi di lotta" e, già nella stessa denominazione, sulla "struttura di base" da contrapporre alle piramidi storicizzate dei sindacati generali. In pratica, le componenti sindacali "resistenziali" si sono limitate a proporre una "contrattazione avanzata", ma pur sempre la cara, vecchia contrattazione condita, ma non sempre, con "metodi" un po' meno servili nei confronti del padronato. Al corteo dei Cobas in occasione del consueto "sciopero generale" che di solito non è nemmeno caporalmaggiore, si sentono certamente slogan più "duri" che al corteo della ciggielle, ma non cambia molto la sostanza. Mi chiedo seriamente se, durante una riunione dei Cobas, sia mai stata pronunciata la parola "sabotaggio"; sono invece assolutamente certo che la parola "legalità" sia sulle bocche di tutti, a parte qualche blocco stradale o ferroviario che lascia il tempo che trova, fa bestemmiare gli automobilisti e i passeggeri, e comporta qualche denuncia qua e là.

Sarà mai venuta fuori la questione (tranne, forse, da qualche singola voce) di attaccare il Capitale nelle sue strutture e nelle sue realizzazioni per costringerlo coi fatti a cedere? Ne dubito fortemente. Oltre la "contrattazione avanzata" nessuno sembra più saper andare, per incapacità o per paura (o per tutte e due le cose). Ma, probabilmente, un motivo ancor più profondo per tutto questo è che un attacco fattivo al Capitale presupporrebbe, come prima condizione necessaria, di cessare di delegare la lotta a dei rappresentanti. In pratica, farla semplicemente finita coi sindacati come strutture di "rappresentanza", asservita totalmente o parzialmente che sia. Cessare di attenersi alla pura e semplice rivendicazione, e i diritti andarseli a prendere invece di contrattarli. Presupporrebbe, tutto questo, una conflittualità permanente e di classe, e la pratica dello scontro sociale. Ora, va da sé, nessuna organizzazione -neppure "di base"- accetterebbe tutto questo; vivacchia proponendo come "successo" qualche vertenziella risolta, ma il più delle volte venendo messa a tacere con relativa facilità.

E, intanto, noialtri si tira a campare con qualche raro divertimento, tipo il campionato di calcio, le primarie o il suicidio. Facendo ovviamente estrema attenzione a non farsi cacciar fuori dal giro: una volta completata la scuola, dove si rivendica il "diritto allo studio", si finisce dritti in fondo al pozzo. Un giorno pony express, un giorno autotrasportatore, un giorno babbonatale in un centro commerciale, un giorno praticante di studio, e poi addetta alle pulizie, lezioni private, disoccupazione, apprendista, cazzinculo e quant'altro. Sperare in nient'altro che in una paga qualunque e in qualunque modo, sperare di sopravvivere. E addio sogni, definitivamente e con la morte addosso. In quanto morti, siamo perfettamente propensi a delegare ogni cosa, dato che abbiamo sin dall'inizio delegato a qualcuno la nostra vita.