mercoledì 31 dicembre 2014

Firenze: E il "Largo martiri delle Foibe" divenne... una foiba!



1. Negli ultimi anni, l' "operazione Foibe" ha avuto, tra gli altri effetti, quello di riempire i centri abitati italiani, dalla grande città all'ultimo dei paesini, di strade e piazze dedicate a "martiri" che, se lo sono, debbono il loro martirio a un ventennio di nazionalismo e di oppressione fascista terminato, subito dopo la fine della guerra, con la vendetta di chi era stato oppresso. A prescindere dalle cifre più o meno gonfiate, dalle "giornate della memoria" che ignorano scrupolosamente oltre vent'anni di fascismo e di massacri fisici e culturali e da operazioni revisioniste di facile presa e costantemente ripetute (si vedano, attualmente, i "nostrimarò"...), la storia sarebbe semplice. Se si fossero intitolate strade e piazze ai martiri del nazionalismo, di qualsiasi epoca e paese, non ci sarebbe stato assolutamente nulla da ridire. Sventuratamente, un'operazione propagandistica di destra, che vivacchiava da decenni, è stata fatta propria da "istituzioni" il cui attuale nazionalismo da operetta costituisce uno degli aspetti al contempo più comici e odiosi della cosiddetta "coesione" tanto cara all'Augusto Sovrano prossimo a abdicare, pardon, a dimettersi.

Dicevo: aspetti comici. La storia che vado a raccontare è, appunto, in massima parte comica. Si svolge nella mia città, la "rossa" Firenze, e riguarda proprio una "cosa" dedicata ai "martiri delle Foibe" in una zona interessata da grossi lavori per un'opera pubblica.

2. Le Foibe sono rappresentate a Firenze da un largo. Per chi conosce almeno un po' la città, si tratta dell'ultima parte, una specie di imbuto, del viale Giovanni Milton, che sbocca sui Viali all'angolo del Ponte dello Statuto.  Fino a qualche anno fa era semplicemente i' Vialemìrton, finché una qualche "giuntadisinìstra" fiorentina non ha deciso, con spirito bipartisan e sinceramente democràtiho, di regalare qualche targa stradale alla destrerìa. E così ecco spuntare "Via della Rivoluzione Ungherese", "Via Jan Palach" e, appunto, il "Largo martiri delle Foibe". Trattasi generalmente, per altro, di strade e slarghi accomunati da un'autentica orripilanza: "Via della Rivoluzione Ungherese" (e l'attigua "Via caduti di Nassiriya") sono due rampacce di accesso ai Viali, annerite dai gas di scarico, "Via Jan Palach" farebbe venir voglia allo sventurato ragazzo praghese di farsi un bagno in piscina invece che di darsi fuoco e, quanto al "Largo martiri delle Foibe", ecco una breve e oggettiva descrizione.

Firenze: Largo martiri delle Foibe

Si tratta, come detto, di uno slargo imbutiforme delimitato, da un lato, da un muro costantemente in preda a cadaveri di manifesti vari (sagra del cignale, sconti su scarpe, vota Antonio La Trippa ecc.) e, dall'altro, dalla spalletta del Mugnone. Ha, o meglio aveva, due corsie di scorrimento veicolare: una a diritto verso i Viali, e l'altra a destra verso il ponte dello Statuto; tali corsie sono delimitate da meravigliosi elementi provvisori biancorossi in plastica, talmente provvisori da essere lì da anni, che per sottolineare il genio fiorentino sono prodotti da una ditta francese. Il "corpo" dello slargo è occupato da un parcheggio a pagamento che, però, funge anche da depositeria per le auto rimosse e "inganasciate": tant'è che molti fiorentini lo chiamano, con maggiore aderenza alla realtà, "Largo dei martiri delle Ganasce".

3. A dire il vero, da qualche tempo, il Largo martiri delle Foibe vive una volta all'anno, verso febbraio o marzo, il suo "momento di gloria". E', infatti, la mèta imprescindibile dell'annuale "Corteo della Memoria", organizzato in pompa magna (e col patrocinio comunale democratico e de sinystra) da una galassia di fascisti & fascistelli tutti belli tricolorati, tra i quali si è vista spesso la Giorgia Meloni (oh ièa!) a fianco della fascisteria fiorentina e toscana al completo (i' Donze, i' Torse, i' sor Achille da Scandicci, Casaggì, eccetera eccetera). Qualche centinajo di questi personaggi, con tricolori e striscioni, partono da piazza Savonarola (la "piazza fascia" di Firenze), percorrono il viale Milton chiuso per l'occasione al traffico e arrivano nel Largo martiri delle Foibe tenendo gran discorsi "per non dimenticare" (sono degli specialisti della memoria storica, come si sa...) e deponendo sulle targhe stradali (guardate a vista dai carabinieri fin da due sere prima!) ghirlande di fiori e nastri tricolori che, nel giro di due giorni, diventano dello stesso color nerofumo e così restano fino all'anno dopo, mentre i fiori incartapecoriscono.

Due tricolorati al "Corteo della Memoria". Si notino, a sinistra, la locandina di "Ti ricordi di me?" (con Ambra Angiolini) e l'olio (sperando non di ricino...) e, sotto la targa stradale, una stupenda cassetta elettrica storta e scarabocchiata.
Altri tricolorati impegnati nella pulizia del Largo martiri delle Foibe, ovviamente con scope tricolori. Sullo sfondo, la targa stradale pure tricolorata mentre Achille Totaro si confronta sul muro con Renato Zero.
4. Così la cosa è andata avanti per alcuni anni: per un giorno la "memoria" (NB: in fiorentino popolare, "ti rinfresco le memorie" significa "ti metto il culo o le palle in bagno", e, per traslato, "ti fo un culo così"), e per gli altri 364 o 365 traffico impazzito, benzene, code, il semaforo sempre rosso, mòccoli a sfare e la macchina inganasciata. Tutto questo, fino al 29 dicembre 2014. Due giorni fa.

Come alcuni sapranno, da mesi Firenze è interessata dai lavori per la costruzione delle linee 2 e 3 della Tranvìa. Lavori che dureranno anni e che, in questi giorni, hanno comportato l'apertura di un grosso cantiere proprio nella zona del Ponte dello Statuto, sul quale il tram dovrà passare. Il quale ponte è stato spietatamente chiuso, sostituito da un "ponte Bailey" realizzato ad hoc sul Mugnone all'altezza della sventurata via Leone X (non è parente di Malcolm, è Decimo), mentre tutta l'area finale del viale Milton è stata non chiusa, ma addirittura sbarrata stile Sperrzone, ivi compreso, eh sì, il Largo martiri delle Foibe. I lavori prevedono la costruzione di un sottopasso, indi per cui, al posto del Largo, verrà scavato un gigantesco buco. Qualche malevolo potrebbe quindi concluderne che, finalmente, i sogni dei Fratelli d'Italia (papparapappappappappà!) sono stati coronati: avere un'autentica foiba a Firenze. Solo che non ci potranno più andare.

Addio, dunque, "corteo della memoria"? Addio, sicuramente, alle macchine inganasciate. Al muro delle sagre del cignale, di Renato Zero, degli sconti favolosi. Terra e sangue d'Italia, ma d'ora in poi, in fondo al viale Milton, soprattutto terra a camionate

Sterro e sangue d'Italia.
5. Sarà forse approntato per i nostri fratelliditàglia & Co., un larghettino sostitutivo in modo da permettere loro di tenere la loro annuale manifestazione a Firenze? Sarà approntata per loro una foiba Bailey? Un viuzzo martiri delle Foibe a Pontignale? E chi lo sa. A lavori ultimati, verso il 2058 (mica si crederà a Nardella che dice nel "2017"...), magari sopra il sottopasso sorgerà un bel giardinetto tutto lindo pieno di fiori: Largo Michele Bakunin.

Nostra patria è il mondo intero,
nostra legge è il sottopà',
c'eran le foibe, c'eran le foibe
Nostra patria è il mondo intero,
nostra legge è il sottopà',
c'eran le foibe, e ora c'è il tram!

martedì 30 dicembre 2014

mercoledì 24 dicembre 2014

Terrorysmo, oh


Vi rendete conto.
Questo qui parla di terrorismo.
Forse si riferisce al suo concepimento.
Terrorismo verso l'umanità.
Anzi, nemmeno terrorismo.
Terrore.
Notare le labbra da spermatozoo andato a male.
Madonna quant'è brutto!
E falso.
Istituzioni.
Madonna quanto sono brutte e false.
Perché.
Buonnatale, pezzi di merda.
Buonnatale, regimi.
Buonnatale, terrorysti.
Buonnatale, e che vi vada tutto di traverso.

domenica 21 dicembre 2014

Mazzetta nera



Musica: Mario Ruccione (aprile 1935)
 
Se tu da Sacrofano guardi er mare
vedi li mori arivà co' li barconi,
e noi ce famo tanti bei soldoni
su l'immigrati campamo da re.

Mazzetta nera, dall'ex missino
fino all'ex NAR pe' arivà puro ar piddino!
Se ciaibbisògno, vieni da me,
che te presento l'Odevàine e er Carminè.

La legge nostra è accumulà mijoni
e guarda de nun rompe li cojoni,
sennò pe' te è già scritta la sentenza,
se mette a fèro e foco Tor Sapienza!

Mazzetta nera, dall'ex missino
fino all'ex NAR pe' arivà puro ar piddino!
Quann' haibbisògno, vieni da me,
che te presento er Buzzi, lui conta pe' tre.

Cooperativa, te spaccamo er grugno,
appuntamento er ventinove giugno,
noi cor degrado e coll'immigrazione
semo più ricchi ormai de Paperone.

Mazzetta nera, dall'ex missino
fino all'ex NAR pe' arivà puro ar piddino!
Se ciaibbisògno, vieni da me,
che te presento er Cortellacci e er Carminè.

Mazzetta nera, er sogno s'è avverato,
destra e sinistra, tutto mescolato,
e nun c'è più compagno o camerata,
c'è solo fa' de soldi 'na palata.

Mazzetta nera, sarai romana,
e se poi rompi te portamo alla Majana,
mo' comannamo puro pe' te,
monno de mezzo, e in mezzo ce stai puro te.

venerdì 19 dicembre 2014

Punizione divina!





Ora diho...'e si fa nàsce i' Matteino, 'gni si fa fà pure i' sindaho e 'un ci s'aspetta nemmeno un terremotino su i' groppone?!?...  Bene, diahàne! Intanto i' padreterno 'e cià mandaho l'avvertimento, 'e vu ll'avehe mess' a i'mondo e ora badahe di leàccelo da tre passi da' hoglioni sennò i' prossimo 'e ve lo mando d' i' decimo grado della scala Rìtte, di 'helli 'he ritte àrtro he le scale, 'e 'un ci restano manco gli scivoli de' garagi!

giovedì 18 dicembre 2014

Ah, Compagno, le ambasciate, somos todos...



AH, COMPAGNO

klikarisLavoro salariato, capitale
l'imperialismo, stadio supremo del capitalismo
la Rivoluzione tradita
ah, Compagno, quanto ci manchi...

Il tempo si è bacato
test nucleari, fronti popolari, bordelli
(via pure il Portogallo)
surplus di cattolici e di mafia
diventati multinazionali, non ci lasciano amare,
Compagno.

Spie della polizia ci salgono le scale,
cani negli stadi, ci possono quando e come vogliono
far tirare giù le mutande per perquisirci
Convivenza Pacifica e Socialismo in un paese
ah, Compagno, sapessi che fardello dobbiamo portare...

I processi di Mosca, nessuno si è opposto
sei rimasto solo come un cane
e la gente era stanca quando hanno colpito.
Lo sai, che vuoi che ti dica.
Poi hanno agito assieme. Lo sai, che vuoi che ti dica.
In Cina, gennaio '77, massacrano Lavoratori,
e tutto questo ci arriva come poesia di Mao
(e si ricomincia con le autocritiche); ah, cazzo, Compagno,
perché non ci stavi più attento?

Qui è lo stesso. La gente si rinchiude nel proprio guscio,
ci sono due partiti comunisti e migliaia
di “rivoluzionari” ermafroditi.
E così, per quanto fiacco, sei andato avanti.
Non preoccuparti, però. Ce la caveremo.
Solo che qualche volta mi sento stanca anch'io,
neanch'io ho lavoro, mi prende uno sconforto da crepare,
ed è allora che mi manchi di più,
allora che ti "sgrido" perché non stavi attento
e non mi vergogno di piangere
e di scrivere poesie
Compagno che non hai tradito
viviamo nella barbarie.


Katerina Gogou (1977) 
(La canzone tratta dalla poesia è cantata da Martha Frintzila)

 A ρε Σύντροφε πόσο μας λείπεις...
Ο καιρός σκουλήκιασε
πυρηνικές δοκιμές, λαϊκά μέτωπα, μπορντέλα και πολυεθνικές
δεν μας αφήνουνε ν' αγαπήσουμε.
Α ρε Σύντροφε πόσο μας λείπεις,
χαφιέδες ανεβαίνουν τα σκαλιά μας.

Τα ξέρεις, τι να σου πω, και μετά συνεργαστήκανε,
στην Κίνα, γενάρης του '77, σφάζουν Εργάτες.
Α ρε Σύντροφε, γιατί δεν πρόσεχες,
γιατί δεν πρόσεχες πιο πολύ;
Εδώ, τα ίδια. Κρύβονται στο καβούκι τους οι άνθρωποι.

Α, ρε Σύντροφε να 'ξερες τι βαρύ φορτίο κουβαλάμε,
έτσι καί λίγο φανείς μπόσικος, πέρασες απέναντι.
Α ρε Σύντροφε, γιατί δεν πρόσεχες,
γιατί δεν πρόσεχες πιο πολύ;
Α ρε Σύντροφε που δεν πρόδωσες,
ζούμε την βαρβαρότητα.

Α ρε Σύντροφε, γιατί δεν πρόσεχες,
γιατί δεν πρόσεχες πιο πολύ;
Α ρε Σύντροφε που δεν πρόδωσες,
ζούμε την βαρβαρότητα.

giovedì 11 dicembre 2014

Tor Mafienza


Alt. Fermi. Facciamo un passo indietro. Ripigliamoci.

In tutti questi ultimi tempi siamo stati ad agire e a disquisire sul disagio delle periferie, sulla guerra fra poveri, sui quartieri degradati, sulle istanze reali, sulla presenza nelle situazioni, sul razzismo e quant'altro. Su questo ci siamo organizzati, abbiamo fatto presidi e manifestazioni antifasciste, ci siamo scontrati con la polizia, abbiamo manifestato entusiasmi e fatto autocritiche, ci siamo scazzati (e continuiamo a scazzarci) fra di noi, abbiamo scritto cose più o meno comprensibili e quant'altro. Okkei.

Oggi, all'improvviso, si viene a sapere come sta invece la natura delle cose; e, magari, si casca pure dal pero. Mafia, solo mafia, perfettissima mafia. Soldi e potere, potere e soldi. Tor Mafienza. I “fascisti”? Bassa manovalanza di sobillatori e agitatori, che operano nei quartieri già ampiamente “lavorati” e, all'occorrenza, intervengono a comando coi “duce, duce”, i “saluti romani” e quant'altro. Saluti romani? Questi qui, a rigore, dovrebbero fare l'unico segno di riconoscimento veramente appropriato: il segno del dollaro. Nazisti? Qui non ci sono le SS, ma le $$. C'è da chiudere il centro di accoglienza minori immigrati che rompe le uova nel paniere nel mandamento (sarà bene chiamare così i “quartieri”, d'ora in poi: mandamenti)? Detto fatto: si organizza la rivolta sociale tutta bella mediatica, si assedia il centro in salsa fascista, arrivano Salvini e Borghezio, si fanno scorrere fiumi di inchiostro, le Forze Nuove vengono attivate anche in altre città (con precisi riferimenti a “Tor Sapienza”, of course), il centro immigrati da eliminare viene chiuso, il Buzzi fa un paio di telefonate e la grande rivolta sociale si placa immediatamente e tutti sono felici e contenti. C'è persino la classica mitologia tolkieniana del cazzo, la “Terra di mezzo”; ci vengono inflitte le analisi sociologiche, le interviste a Luca Telese e via discorrendo.

Il bello è che, appunto, siamo cascati dal pero (uso questo plurale tutt'altro che majestatis, ma perché sono certo di non essere l'unico, oggi, ad avere questo tipo di reazione). Come se non si sapesse a che cosa servono e a che cosa sono sempre serviti i fascisti. Urliamo e roboiamo da trecento anni che il fascismo è al servizio del Capitale e delle mafie, e poi quando la cosa ci viene messa davanti agli occhi nella sua più semplice crudezza affaristica da basso impero, sgraniamo pure gli occhi. Con tutta probabilità, non riusciamo a liberarci da un'immagine tardoromantica del fascismo, neppure noi. Vogliamo credere, insomma, che ci credano. Che siano per davvero, ad esempio, contro l'immigrazione, che siano identitari, che vogliano l'Italia agli italiani, e tutta questa gran serie di balle nelle quali, peraltro, siamo i primi a cascare assieme a una consistente fetta di popolo. Così, ora, sarà bene non sconvolgerci più di tanto. I cosiddetti “fascisti”, in qualsivoglia maniera declinati (leghe, forze nuove, tricolori, fratelliditàglia, casepound eccetera), sono dei picciotti. Al servizio di consorterie trasversali e “terre di mezzo”, di ex sparatori neri, di “angeli del bene”, di partiti democratici, di bande magliane, di “amministratori”, di amichetti e amiconi. Altro che fascisti, questi qui sono solo dei papponi con l'hobbit, pardon, con l'hobby, der “còre nero”. Fine. E sarà bene, d'ora in poi, rapportarci a questa realtà. Come dicono? “Riprendiamoci i quartieri”?... E ci credo, sennò poi come fanno a gestire business sugli immigrati, sugli zingari, sullo spaccio eccetera? I poveracci rendono soldoni a palate, ed è una merce inesauribile.

E nei famosi quartieri, ora...? Tranquilli, non cambia niente. Ci saranno sempre quelli che non sono razzisti però, quelli che nun so' fascista però sti negri (rumeni ecc.), sempre quelli della casaglitaliàni, quelli che ce l'hanno con gli extracomunitari senza nemmeno rendersi conto a quale meravigliosa “comunità” si fa riferimento, e così via. Così come ci saranno sempre i coraggiosi, le cooperative sociali, i preti di frontiera, gli spacciatori senza etnia, le tensioni, le polveriere e quant'altro. Come diceva giustamente qualcuno, il problema non è in fondo questa o quella mafia, questa o quella banda, questa o quella consorteria affaristico-politica, questo o quel gruppuscolo di malavitosi all'occorrenza travestiti e organizzati da “fascisti”. Il problema è il vero fascismo, quello della gestione legale della cosa pubblica, che non è per nulla una “terra di mezzo”. In questo è autenticamente un “fascismo del XXI secolo”, anche se ha radici antiche; altro che “Casapound”. La sua novità è che è un fascio per davvero, e nel senso letterale del termine. Proteiforme. Si può chiamare “partito democratico”, “cooperativa 29 giugno”, “lega”, “grillo”, “tèra de mezzo” e come si vuole. Persino “Stato”, tout court. Sarà a questo fascismo che occorrerà opporsi, sperando che finalmente sia stato individuato. Se si vuole impedire che sia costruita una casa, bisogna mirare ai costruttori e ai finanziatori, non ai manovali. Così Tor Mafienza scomparirà nel nulla assieme alle sue finte “rivolte” a base di money. Altrimenti, invece di anticapitalismo, si fa antimanovalismo. E' questo che bisogna andare a dire nei quartieri. A dire, e a fare.

mercoledì 10 dicembre 2014

Sangue della tua sangua



Ieri, se non erro vicino a Ancona, l'ennesima strage in “famiglia”. Strage di un “padre” che ha ammazzato la moglie e il figlio di cinque anni. Sparando in casa. Due, tre righe. Cronaca assolutamente svogliata. Una consuetudine. Si stavano “separando”, allora il “padre” interviene e separa ogni cosa, tanto che c'è. Poi si ammazza. I “padri” si ammazzano sempre, o quantomeno ci tentano. Pur sempre capifamiglia; per inciso, ma quante armi gireranno nelle “famiglie”? Va bene quando il “padre” è il classico carabiniere, agente, vigilante o chissà cosa; ma quello di ieri era un operaio. Il papà operaio con la pistola. La famiglia a mano armata, pum pum. Ti vuoi separare, moglie? Mi prende un “raptus”, calibro 7,65 naturalmente, e stermino il sangue del mio sangue. Poi mi ammazzo. Tutto normale, i giornali e le tv mi giustificano, il sor parroco invita a non giudicare e a pregare, e poi a perdonare scrutando gli insondabili misteri del disegno divino (ma che cazzo di matite usi non è dato mai saperlo).

Però, in questi giorni, tutti sono concentrati sulla mamma assassina, quella delle zone del commissario Montalbano. Quella accusata di aver massacrato il figlio di otto anni, pur senza pistolettate (le armi da fuoco non sono roba da donne, tsè). Per la “madre” non è nemmeno questione di accennare al “perdono”; è già stata condannata a morte. Se al “padre” è consentito ammazzare mogli, figlie, figli e anche il cane (è successo anche questo, non sto celiando), alla “madre”, santa donna che dà la vita, che reca nel suo grembo la benedetta progenie, che è in sostanza un utero con qualche chilo di carne intorno, questo non è consentito. Se quindi si azzarda a far fuori un figlio, viene offerta immediatamente come vittima sacrificale.

Succede così che il “padre”, come l'ampiamente dimenticato tizio di Motta Visconti dello scorso giugno, faccia fuori moglie incinta, figlia di anni 5 e figlio di mesi 20, e tutto sommato se la cavi; certo, qualche risalto per la performance, ma nessun resoconto di nottate in caserma guardato a vista, nessuna notizia se abbia dormito o meno la notte dell'arresto, nessuna moglie che urla “mi cade il mondo addosso” (anche perché la moglie, ops, la aveva fatta fuori), nessun vecchio mulino, nessun compiaciuto racconto sull'ingresso in carcere tra insulti e minacce, nessun “ci vorrebbe la pena di morte”. Perché si è limitato a sterminare il sangue del suo sangue, che sarà mai.

Molto diverso quando tu, “madre”, stermini il sangue della tua sangua. Bruno, ehi Bruno dall'Aquila, hai già scaldato il motore? Dai, stavolta si va agli antipodi, da Cogne si va in provincia di Ragusa. Il terreno è già spianato, perché lo sai bene come “funzia”. Sai perfettamente che, di tutte le quotidiane stragi e ammazzamenti in “famiglia” che accadono, ci si ricorda soltanto di quelle in cui c'è la mamma assassina, o quantomeno una donna. La perfida adolescente Erika che soggioga il ragazzino e sgozza a rondemà tra le mura domestiche. La Franzoni che da Bologna va fino in Val d'Aosta per spedire il figlioletto tra gli “angeli”. E, ora, la Veronica dall'infanzia difficile che angiolettizza il figlio a base di fascette stringicavi o che so io. 'Ste donne. Complicate sono. Imparassero almeno a usare una bella pistola, come fa il papà; invece no. Cuscini, materiale elettrico, vasche da bagno, salti dal quinto piano...

E così, in questi giorni, di una tizia che, fino all'altro ieri, era una mamma come tante sappiamo tutto. La sua infanzia infelice perché sua madre le aveva detto di essere una figlia indesiderata, la sua adolescenza problematica, la gravidanza a anni sedici, il matrimonio, il marito lavoratore, un altro figlio, i tentativi di suicidio, la marca dell'automobile, il corso di cucina, le contraddizioni, il modo in cui urla, cosa non ha voluto mangiare in caserma, i “devi morire” in galera e persino il precedente bambino ammazzato in provincia di Ragusa, nel 1946. Minchia, bambini, andate tutti a Ragusa e dintorni; là vi ammazzano uno ogni 68 anni! La prossima volta toccherà a uno di voi nel 2082, Bruno Vespa sarà bell'e morto da quel dì e, nel frattempo, potrete fare una vita tranquillissima in famiglia. Insomma, una pacchia. La mostressa c'è già stata nel lontano 2014, e, per aggiungere pathos, pure sotto Natale. I bambini |fanno l'albero per la piccola vittima della mamma snaturata. Il marito ha già pronunciato la sentenza: “può anche morire”. Succede questo a chi sopprime il sangue della sua sangua, in questo paese di sante mamme e sacre famiglie.

Il papà fa la strage? Chi lo avrebbe mai detto, era così perbene, una famiglia solare. La mamma spiàccica il figlio? Figlia indesiderata, problemi, suicidi, tipa strana, in paese la chiamano “La forestiera”. Perché i bambini non si toccano, ma esclusivamente dalle mamme. I papà possono toccarli eccome, dato che sono solari. I papà ci hanno i problemi finanziari. I papà non accettano la separazione. I papà giocano a videopoker. I papà si innamorano delle colleghe. I papà imprenditori falliscono. Ammazzano quotidianamente e nessuno scava nella loro vita, manco un tentativo di suicidio che sia uno, manco una mamma che abbia detto loro “sei nato per un preservativo bucato”, manco uno che sia rimasto incinto a 16 anni, manco un paese che ti chiami “Il Forestiero”, manco non dico un Bruno Vespa coi plastici della villetta, ma nemmeno un Gino Pinzauti di Tele Sant'Angelo a Lecore che rifaccia la scena del delitto col Pongo. Non si parli nemmeno, poi, di minacce in carcere raccontate col massimo della morbosità®, perché non sei né una mamma e né un pedofilo. Lo si sarà notato regolarmente: in casi del genere, le gazzette e le tivvù non si lasciano sfuggire il particolare. Il carcere è quella cosa dura ma giusta, dove i detenuti “hanno un'etica” tutta a base di bambini. Ci sarebbe da chiedere come facciano le redazioni a sapere cosa urla chi sta al gabbio; ci avranno degli inviati speciali rinchiusi in galera? Dal nostro corrispondente all'Ucciardone? E quell'eventuale corrispondente, che cosa corrisponde? Gli insulti e le minacce etiche al mostro o alla mostressa di turno, mica che in galera si crepa ogni giorno solo un pochino meno che in famiglia.

Insomma, benvenuta alla Veronica nel novero delle mostresse. Non importa nemmeno, in fondo, se sia stata o non sia stata lei. Dai, su, lo avevate detto tutti che era stata lei, fin dal primo giorno. Sospetto pure che lo speravate. Il pedofilo? Banale. Gli zii e la cugina? Ci hanno già pensato a Avetrana, con quella rizzacazzi quindicenne (definizione udita di persona in un bar di via Datini, a Firenze; ed era chiaro che non era stato lo zio, ma quel cesso di sua cugina). Ci voleva, sotto Natala, una bella mamma. Un po' di sangua da mettere sotto l'albera. Una bella mamma assassina di quelle pese, ogni tanto, cementa la famiglia e rassicura.

domenica 7 dicembre 2014

Dum Romae consulitur



Questo post parla degli avvenimenti di ieri pomeriggio alle Piagge (Firenze). Riflette esclusivamente il mio pensiero, ma è il pensiero di uno che, ieri pomeriggio, era perfettamente in mezzo  a quegli avvenimenti, del tutto coinvolto in senso collettivo e militante; ma non per questo disposto a rinunciare alla propria autonomia critica.
 
Le ciance meaculpàtiche, in questi ultimi tempi, vanno parecchio di moda; specialmente dopo "Tor Sapienza". All'improvviso ci si è accorti che il fascismo stava prendendosi i quartieri più degradati e difficili delle nostre città, quelli dell'immigrazione e del disagio sempre più duro, quelli del muro contro muro e dello spaccio, quelli del sottoproletariato urbano e della disperazione quotidiana. Si badi bene: dico "fascismo" e non "fascisti". I fascisti, quelli conclamati e coi loro tricolori di merda, da servi obbedienti del capitale, arrivano ben protetti in situazioni dove il fascismo e il razzismo sono già ampiamente operanti anche in chi non solo non si definisce, ma addirittura è arciconvinto di non essere fascista. Ci vuole così tanto a dire che, tra il famoso "popolo", esiste una gran quantità di merda razzista ben sviluppata negli anni e, soprattutto, ben sfruttata, e che nel concime di tale merda i fascisti "doc" crescono sani e robusti?  E, allora, all'improvviso ecco le geremiadi: Ahò, 'a compagni, nun ce semo. Ce semo fatti scappa' li quartieri, nun sapemo ascoltà la gggènte e la gggènte va co' li fasci, bisogna sapeje parlà, bisogna vìve la reartà, bisogna lancià li messaggi chiari e forti. Quando però, in una data occasione, si decide di andare finalmente a sporcarsi le mani per andare a lanciarli, questi messaggi, alla gente di un dato quartiere, quel che si raccoglie non è soltanto la solita tonnellata di repressione, di manganellate e di cariche di polizia e carabinieri. A tutto questo occorre sempre essere preparati, e una volta tanto non vorrei nemmeno parlarne troppo. Si raccoglie anche, e soprattutto, palate di merda addosso sia dalla famosa "gente", sia da chi, in teoria, dovrebbe stare dalla tua stessa parte. Allo stesso tempo, pur in mezzo alla tensione, al bailamme e alle manganellate, i fatidici messaggi partono. Vengono finalmente lanciati in modo inequivocabile alla gente del quartiere tutta affacciata alle finestre delle Piagge. A qualcuno arrivano. In qualcuno fanno breccia. Dum Romae consulitur, vale a dire si fanno tante chiacchiere teoriche, da qualche altra parte si agisce, magari in modo imperfetto, magari ancora con un'organizzazione precaria, magari compiendo anche qualche errore madornale. Con tutte le dovute autocritiche, ritengo che quanto avvenuto oggi alle Piagge sia importante anche al di là delle consistenze numeriche e del fatto che tutto quanto sia avvenuto in una realtà urbana non molto nota al di fuori della cerchia locale o che, comunque, fa molto meno "presa" di quanto avviene, ad esempio, a Roma.


Eccolo, ad esempio, uno di quei famosi messaggi, poco prima dello scoppio del casino di ieri pomeriggio alle Piagge. L'occasione: un presidio organizzato dai servetti nazisti di Forza Nuova. Il primo,  a quanto mi risulta, chiamato facendo esplicito riferimento a Tor Sapienza:


Le Piagge come Tor Sapienza. Solo che, alle Piagge, il "presidio" non lo hanno fatto. Sono stati spostati a quasi un paio di chilometri di distanza, in piazza Garibaldi a Peretola, un quartiere dove fino a non molto tempo fa -fra l'altro- non avrebbero osato non dico mettere il naso, ma nemmeno la punta del dito mignolo. La logica e l'intelligenza imporrebbero di non occuparsi più di tanto della seguente ventina di coglioni che, con due o tre "tricolori", si sono sistemati con uno striscione con su scritto "RIPRENDIAMOCI I QUARTIERI" in un quartiere che non è quello che volevano di pertinenza:


Quartiere, Peretola, dove peraltro -stando alle cronache- sono stati infamati dalla popolazione e dove, ben protetti come sempre dai loro amichetti in casco e divisa, si sono sfogati tentando di sfondare  a calci il portone di una casa da dove si stava gridando loro di tutto. Un meraviglioso modo di riprendersi i quartieri, non c'è che dire. In futuro, considerata la figura di merda che hanno fatto, sarebbe da consigliar loro di stare attenti piuttosto a che i quartieri non riprendano loro, almeno a Firenze. Questa città ci avrà diecimila difetti, sarà in larga parte bottegaia, ipocrita e provinciale e sconta la colpa di aver dato i natali a Babbeo Renzi; ma questi damerini qui, ancora, ne hanno da fare di strada prima di veder trionfare le loro blindatissime provocazioni. Senza sbirri non fanno neanche un passo. Altro che "Tor Sapienza", se dèveno contentà de Tor Peretola in bella posa come Salvini gnudo sulla copertina del rotocalco da parrucchieri. All' "angolo tra via Pistoiese e via dell'Osteria", alle Piagge, c'erano solo le forze antisommossa.


Via Veneto. Non è la famosa via romana, quella della dolce vita e degli scontri del 12 aprile scorso. A Roma è una strada famosa nel mondo, ci andava pure l'erremosciato Eugènio Scàlfavi dialogatore con Sua Santità; a Firenze è una strada di merda di casermoni suburbani, in un quartierino che ve lo raccomando, e al massimo si dialoga con un parroco un po' strano, il cui cognome deriva dall'espressione latina che significa "dei santi" (Sanctorum, genitivo plurale); interessante tipo anche se non privo di contraddizioni, come tutti noi peraltro. Uno che, comunque, in quel quartiere ci vive e ci patisce, ogni tanto ne viene allontanato perchè sposa i transgender e deve far obbediente penitenza di preghiera in un eremo lontano e che ha istituito una Comunità che tenta di far certi discorsi in quel quartierino, cosa che non è per nulla facile e che gli ha fatto guadagnare una discreta dose di diffidenza e pure odio da parte del suo gregge. Qua e là gli danno fuoco a qualche furgone, osa pronunciare -ad esempio- parole come antifascismo e rifiuta di vedere le Piagge come terreno di conquista del razzismo più idiota e desolante, quello sul quale a Roma proliferano le torsapiènze & similia, e dello spaccio d'ognicòsa di spacciabile.

Sorpresi i non fiorentini che a Firenze esista un posto del genere? Non è nemmeno l'unico. Chiaro che di Firenze non ne sapete un cazzo, non ne sanno un cazzo nemmeno i fiorentini. Delle Piagge sanno quelli delle Piagge, tra i quali alcuni erano in mezzo agli antifascisti di oggi ed altri erano tra i fascisti o tra i criptofascisti del popolo. E noialtri là a lanciare messaggi. Tipo quello che i suonatori di grancassa del degrado, dell'Italia agli italiani, del no immigrazione e quant'altro, di "destra" e di "sinistra", sugli immigrati, sugli zingari e sulla povertà di tutti ci fanno gran soldoni. Che i pipparoli cerebrolesi che vogliono "riprendersi i quartieri" arricchiscono il camerata Carminati e gente del genere. Che i disagi nei quartieri popolari e sottoproletari sono una strategia ben precisa: lassàmoli sfogà col razzismo e dando la colpa agli stranieri, mentre noi facciamo quattrini a palate. Dalle finestre delle Piagge se ne sentivano di tutte, ma è normale in situazioni del genere. E Lorsignori hanno una fifa boia di certi guastafeste che osano andarci per davvero, nei quartieri, a dire anzi urlare, con megafoni scassati, generatori dei tempi di Nonna Papera, striscioni fatti in casa e bandiere rosse e rossonere, delle cose che non si vogliono sentir dire. E poiché certe cose non si dicono alle Piagge, si mette in campo l'apparato repressivo. Il quale, naturalmente, scatta quando il presidio vuole trasformarsi in corteo per le strade del quartiere. Troppe cose sarebbero state dette, bisogna caricare quei monellacci di tutte le età.


D'accordo. Rapporti di forza. Duecento, duecentocinquanta persone armate come potrebbe essere armata la Sanbenedettese contro il Real Madrid. Errori a non finire, di quelli che alla fine fanno invariabilmente dire (quasi un must) che "la polizia ci ha quasi voluto bene". Chiusure, vie di fuga che nemmeno Bach ci avrebbe imbastito due note in croce, e così via. Intanto gli urli e i messaggi continuano a partire, e devono partire. Siamo lì per quello. Non per "insegnare", ci mancherebbe: ma per dire cose diverse, contrapposte alle strategie di divisione e guerra. Questo il senso reale del termine "antagonismo". Almeno se e quando non si vuole che sia una vuota etichetta o una serie di puttanate teorico-analitiche mentre i quartieri agonizzano puzzando perdipiù del lezzo fascista e razzista.

I fascisti di Forza "Nuova" a Peretola? Beh, ce n'era qualcuno anche alle Piagge, e dire il vero. Senza tricolori e senza striscione, però. S'era incarnato in un gruppetto di tizi all'esterno di un bar (dove fanno un ottimo caffè, va detto), che provocavano sperando, chiaramente, nella rissa. Alcuni di essi, mi hanno riferito, facevano parte di un gruppo ultras di una data squadra di pallone locale, con la maglia di colore viola che ieri sera ha fatto zerazzèro con un'altra squadra di colore bianconero, i quali si dilettano di gridare sovente, sulle gradinate, "ACAB, ACAB" per poi effettuare le loro provocazioni ben protetti da un sontuoso cordone di polizia. Come dire, All Cops Are Bastards allo stadio, ma non in via Pistoiese. In via Pistoiese, ACAF. All Cops Are Friends. 

E ora? Ora, chiaro, fioccheranno le denunce per non dir di peggio. I poliziotti e carabinieri contusi e medicati in ospedale ne sono i classici prodromi, quelli ovviamente strombazzati dai media imbeddati. C'è chi dice che non ne valeva la pena, c'è chi dice il contrario; e sono opinioni da vagliare bene, perché non appartengono solo al terreno del pensiero ma anche e soprattutto a quello della pratica. Intanto, alle Piagge s'è visto oggi qualcosa di diverso accanto a certe cose consuete. La cosa più diversa, è stata la meraviglia assoluta di un bel po' di abitanti del quartiere, che non sapevano neppure che cosa stava accadendo, ed ai quali è stato spiegato con dovizia e pazienza persino in mezzo al canaio. Qualcuno annuiva, qualcun altro strillava il classico "ci sono i bbbbambini!!" quando di bambini non se ne vedeva neanche mezzo per sbaglio (a quell'ora, i bambini sono tutti a rincoglionirsi su facebook e con Peppa Pig, del resto). Qualcuno criticava, qualcuno insultava e qualcun altro discuteva. Magari pure cambiando idea, perché in fondo non ci vuole molto. Ciò di cui, come si diceva prima, i detentori del potere e i loro servi hanno una fifa blu.

Qualcun altro, poi, rilasciava preoccupatissime dichiarazioni a base di brutta giornata, di nonviolenza e di dialogo. Peccato che, nei quartieri come le Piagge, si viva una quotidiana situazione di violenza istituzionale, e che il "dialogo", panacea di tutti i mali, non sorta altro risultato che far aumentare la presenza e l'agibilità dei fascisti, e il razzismo a rondemà; a volte, il dialogo, quello vero, ha bisogno -come dire- di una spintarella un po' più decisa e non fraintendibile, al di là di come tale spintarella possa essere percepita sul momento. A condizione, naturalmente, che non finisca qui e che non si tratti di un episodio una tantum. Migliorando mille cose, non commettendo certi errori e interagendo con le popolazioni dei quartieri (facendosi, quindi, un culo immane e rischiando manganellate, denunce e galere, perché quelle ci saranno sempre).

E il sor parroco? Lungi da me volerlo attaccare, e considero la sua attività nel quartiere degna di attenzione e di lode. Sono conscio delle enormi difficoltà che deve affrontare ogni giorno, e dei rischi che corre (non ultimo quello di essere trasferito con vincolo di obbedienza, facendo egli volontariamente parte di un'istituzione assolutistica come la Chiesa cattolica).  Ma dovrebbe, a mio parere, riflettere bene anche lui su molte cose. Sempre un compagno di strada, e sulle barricate di un quartiere che non è "Tor Sapienza"; ma su quella strada ci possono essere mescole d'asfalto assai diverse e piedi ancor più diversi. Alla fine, di essere venuto a portare la spada l'ha detto pure il suo Gesuccristo, e una spada taglia. Persino i manganelli. Buona fortuna a lui, buona fortuna a noi, e buona fortuna a tutte le Piagge del mondo, liberate dalle centomila merde di questo mondo.

Dum Romae consulitur, Plagiae liberantur.

 

lunedì 1 dicembre 2014

Anadrammi 8




MATTEO SALVINI =

V'AMO, SINTI ALTE!

Inaspettata dichiarazione d'amore del prestante leader leghista
nei confronti delle donne Rom: ora si capisce tutto il suo viavai ai campi !


MATTEO SALVINI =

SI', VOTATE MILAN!

Ma quale Le Pen! Ma quale Fronte Nazionale!
Solo il Diavolo è la sua fede!


MATTEO SALVINI =

O ISLAM, IN VETTA !

Conversione in vista?...
 (E un po' di Ramadan gli farebbe anche benino...)

 
 

martedì 25 novembre 2014

Yes, we can




Da oggi abbiamo imparato alcune cose. Ad esempio, che "per rendere una comunità migliore" bisogna pigliare un ragazzino negro e sparargli a morte. Così, tanto per fare. L'ha detto Baraccone Obama, di mestiere presidente degli Statunìti. Testuali parole. Tanto, poi, a chi lo ha ammazzato non viene torto un capello; licenza di uccidere. Il ragazzino di Ferguson aveva diciott'anni; quello pochi giorni fa a New York, dodici. Armeggiava con una pistola giocattolo, e gli è bastato per morire sparato dalla polizia. Chissà come sarà migliore la comunità; la prossima volta, per renderla ancor più migliore assai, si dovrebbe suggerire a una qualche polizia americana di sparare a un neonato in carrozzina, magari mentre armeggia col biberon. Se la cosa avvenisse su una scalinata, si potrebbe pure fare la riedizione della Corazzata Potëmkin.



Poi abbiamo imparato che la comunità migliore s'incazza, invece. Ed è necessario andare un po' a vedere come s'incazza. Attaccare la polizia, dare fuoco alle sue macchine, prenderla a sassate e quant'altro è, volendo, una cosa più che normale, quasi logica. Quel che, secondo me, merita più attenzione è l'immancabile saccheggio e distruzione dei negozi. Almeno dalle immagini disponibili, sembra che gli stores attaccati, saccheggiati e dati alle fiamme siano quasi tutti di oggetti, oggettini, roba elettronica, telefonini, stronzate limited, stracci vari. La violenza sembra scatenarsi sul superfluo. Su quello che non si può avere, avere, avere, avere, avere, avere.



In ultimo, abbiamo imparato che Repubblica s'indigna. Addirittura affida la sua indignazione al grande opinionista, il quale ci dice che i poliziotti americani ammazzano impunemente i ragazzini negri. Bene. Ora ci garberebbe, magari, che Repubblica mettesse in campo la stessa indignazione e gli stessi opinionisti quando, al posto dei lontanissimi ragazzini negri di Ferguson e di New York, ci sono i geometri romani, gli ex calciatori fiorentini, i passanti agitati milanesi, i carcerati livornesi, i diciottenni ferraresi o i pischelli napoletani sul motorino senza assicurazione. Tutto questo non mi risulta; e, come si vede, una discreta dose di ragazzini ce li abbiamo pure noi, senza andare a Ferguson. E pure il ragazzino negro, diciott'anni pure lui, che si butta dalla finestra (a Firenze) perché c'è una festa e i solerti vicini di casa chiamano direttamente la polizia. E muore, in mezzo agli stessi vicini che lo chiamano negro di merda.

Resistete / Ἀντισταθεῖτε


Resistete
a chi si costruisce una casetta
e dice: Ci sto proprio bene.
Resistete a chi è tornato
e dice: Grazie a Dio.
Resistete
al tappeto persiano degli appartamenti condominiali
all'ometto che sta in ufficio
della società di import-export
alla pubblica istruzione statale
al fisco
e pure a me che ve lo racconto.

Resistete
a chi dalla tribuna saluta
per ore e ore le sfilate
a quella sterile signora che distribuisce opere dei santi,
incenso e mirra,
e pure a me che ve lo racconto.
Resistete poi a tutti quelli che si dicon grandi
resistete al presidente della Corte d'Appello
alle musiche, ai tamburi e alle parate
a tutte le corti supreme che blaterano
(bevon caffè loro eccellenze i Consiglieri)
a tutti quelli che scrivono discorsi epocali
appiccicati alla stufa da pieno inverno
alle adulazioni, agli auguri e a tutti questi inchini
da parte di scribacchini e servi verso il loro savio caporione.

Resistete agli Uffici Stranieri e Passaporti
alle tremende bandiere degli stati e alla diplomazia
alle fabbriche di materiali bellici
a chi declama belle parole
agli inni di guerra
alle canzoni sdolcinate e lamentose
agli spettatori
al vento
a tutti gli indifferenti e ai saggi
agli altri che fanno finta di esser vostri amici
e resistete pure a me, a me che ve lo racconto.
E allora, statene certi, si andrà verso la Libertà.

Ἀντισταθεῖτε
σ'αὐτὸν ποὺ χτίζει ἕνα μικρὸ σπιτάκι
καὶ λέει : καλὰ εἶμαι ἐδῶ.
Ἀντισταθεῖτε σ'αὐτὸν ποὺ γύρισε πάλι
καὶ λέει : Δόξα σοι ὁ Θεός.
Ἀντισταθεῖτε
στὸν περσικὸ τάπητα τῶν πολυκατοικιῶν
στὸν κοντὸ ἄνθρωπο τοῦ γραφείου
στὴν ἑταιρεία εἰσαγωγαὶ - ἐξαγωγαί
στὴν κρατικὴ ἐκπαίδευση
στὸ φόρο
σὲ μένα ἀκόμα ποὺ σᾶς ἱστορῶ.


Ἀντισταθεῖτε
σ' αὐτόν ποὺ χαιρετάει ἀπ' τὴν ἐξέδρα
ὧρες ἀτέλειωτες τὶς παρελάσεις
σ' αὐτὴ τὴν ἄγονη κυρία ποὺ μοιράζει ἔντυπα ἀγίων,
λίβανον καὶ σμύρναν,
σὲ μένα ἀκόμα ποὺ σᾶς ἱστορῶ.
Ἀντισταθεῖτε πάλι σ' ὅλους αὐτούς ποὺ λέγονται μεγάλοι
στὸν πρόεδρο τοῦ 'Εφετείου ἀντισταθεῖτε
στὶς μουσικὲς τὰ τούμπανα καὶ τὶς παράτες
σ' ὅλα τ' ἀνώτερα συνέδρια ποὺ φλυαροῦνε
πίνουν καφέδες σύνεδροι συμβουλατόροι
σ' ὅλους ποὺ γράφουν λόγους γιὰ τὴν ἐποχή
δίπλα στὴ χειμωνιάτικη θερμάστρα
στὶς κολακίες τὶς εὐχὲς τὶς τόσες ὑποκλίσεις
ἀπο γραφιάδες καὶ δειλοὺς γιὰ τὸ σοφὸ ἀρχηγό τους.


Ἀντισταθεῖτε στὶς ὑπηρεσίες τῶν ἀλλοδαπῶν καὶ διαβατηρίων
στὶς φοβερὲς σημαῖες τῶν κρατῶν καὶ τὴ διπλωματία
στὰ ἐργοστάσια πολεμικῶν ὑλῶν
σ' αὐτοὺς ποὺ λένε λυρισμὸ τὰ ὡραῖα λόγια
στὰ θούρια
στὰ γλυκερὰ τραγούδια μὲ τοὺς θρήνους
στοὺς θεατές
στὸν ἄνεμο
σ' ὅλους τοὺς ἀδιάφορους καὶ τοὺς σοφούς
στοὺς ἄλλους ποὺ κάνουνε τὸ φίλο σας
ὡς καὶ σὲ μένα, σὲ μένα ἀκόμα ποὺ σᾶς ἱστορῶ ἀντισταθεῖτε.
Τότε μπορεῖ βέβαιοι νὰ περάσουμε πρὸς τὴν Ἐλευθερία.

= Michalis Katsarós / Μιχάλης Κατσαρός, 1983. = 

lunedì 24 novembre 2014

Dietro ogni giudice c'è un potere


Vorrei proprio non avere mezzi termini. Un giudice non è soltanto tra le canzoni più famose di Fabrizio De André, diciamo nella top ten; non è soltanto tra le più belle del genovese e dell'intera canzone d'autore in lingua italiana, ma, a mio parere, tra le maggiori dell'intera canzone d'autore mondiale. E' una breve canzone, bella quanto terribile, che obbliga a diversi piani di lettura e, soprattutto, ad una riflessione sui meccanismi della “giustizia” e della sua amministrazione terrena da parte di persone. Un po' troppe volte ragioniamo sulla “giustizia” come qualcosa di assoluto e di astratto; in questo ci si sono messi anche quegli emeriti tromboni che vanno sotto il nome di “filosofi del diritto”.

Vorrei aggiungere che la resa testuale musicale di De André, Bentivoglio e Piovani è, sempre a mio parere, assai più bella della poesia “originale” di Edgar Lee Masters, Judge Selah Lively. Ognuno si potrà del resto formare un giudizio autonomo, considerando che i brani dell'Antologia di Spoon River utilizzati da De André per Non all'amore, non al denaro né al cielo sono, chiaramente, delle riscritture e dei testi autonomi a pieno titolo. Sulla falsariga della poesia mastersiana è stato scritto questo capolavoro; ma queste sono cose note più o meno a tutti.

E' probabile, come del resto specificato dallo stesso De André (uno che, però, non sempre è da prendere alla lettera, come tutti gli autori quando parlano delle loro composizioni), che Un giudice faccia parte del leit-motiv dell'album, vale a dire un'indagine psicologica sui vizi e sulle virtù delle persone, e sul loro inestricabile intreccio in ognuno di noi. Il compito dei morti di Spoon River è del resto esattamente questo: uno spaccato della società americana analizzato attraverso le comuni vite degli abitanti di un paesino dell'America profonda, declinate attraverso le tombe di un cimitero. Nell'intervista a Fernanda Pivano riportata sul libretto dell'album, Fabrizio De André ebbe a dichiarare testualmente: «Avrò avuto diciott'anni quando ho letto Spoon River. Mi era piaciuto, forse perché in quei personaggi trovavo qualcosa di me. Nel disco si parla di vizi e virtù: è chiaro che la virtù mi interessa di meno, perché non va migliorata. Invece il vizio lo si può migliorare: solo così un discorso può essere produttivo.» D'accordo. Ma i diversi livelli di una canzone (figuriamoci addirittura di un concept album intero di questa levatura) sfuggono sempre anche alla lettura proposta dal suo stesso autore; così, soprattutto, per questa canzone.

Un giudice è senz'altro la personale storia di un nano che studia giurisprudenza e diventa giudice vendicandosi così della sua infelicità attraverso il potere di giudicare e condannare (giudice finalmente, arbitro in terra del bene e del male), incutendo timore a coloro che prima lo deridevano; inginocchiandosi però nel momento dell'addio, non conoscendo affatto la statura di Dio. Come in Un matto la vicenda è incentrata sul tema dell'invidia, che diventa ancora una volta il motore dell'agire del personaggio; in questa canzone De André mostra come l'opinione che gli altri hanno su di noi ci crei disagio e sconforto. Il giudice diventa una carogna, per il semplice fatto che gli altri sono sempre stati carogne con lui, e che trova nella vendetta l'unica cura possibile.

Se questo è il piano psicologico della canzone, ne consegue che viene letteralmente fatto a pezzi lo stereotipo del giudice come incarnazione stessa dell' “equilibrio”, un equilibrio che -non scordiamolo- dovrebbe essere applicato, sulla base della “legge”, per giudicare altre persone ed i loro atti dichiarati non conformi all'umana convivenza. In poche parole, nella figura del Giudice di De André e Lee Masters viene messa in totale discussione la stessa “giustizia”. In quanto amministrata da uomini, tutti con le loro vicende, essa semplicemente non può esistere. La canzone si conclude infatti con sentenze di morte: il condannato, quindi, non paga tanto per i suoi atti, quanto per il desiderio di vendetta di un infelice invidioso e bersagliato dalle maldicenze e dalle derisioni. E' una cosa pienamente umana; disumana passa ad essere la “giustizia” che non ha nessuna possibilità di sfuggire a tutto questo.

Quando poi la “giustizia” viene abbinata, come è giocoforza che accada, al potere ed alle sue esigenze totalizzanti, le singole vicende di chi giudica si trasfigurano nell'obbedienza e nell'immanenza ad un disegno più vasto. Parlare di “giustizia imparziale” è quindi soltanto una chimera, una menzogna che si ammannisce sapendo di mentire. Leggi, codici, tribunali: di esempi non ne mancano certo nella storia. Sarebbe interessante, ad esempio, conoscere nel dettaglio la vicenda umana di un giudice come Roland Freisler. Ma anche senza andare al giudice nazista del Volksgerichtshof e di tutti gli altri che, in ogni paese, hanno servito il potere nei tribunali speciali, si possono trovare decine di esempi di tutto ciò anche nei giudici ordinari, nel cosiddetto “giudice naturale” da cui nessuno può “essere distolto” nel testo della Costituzione della Repubblica Italiana.

Chi si trova, per qualsiasi motivo, ad essere giudicato in un tribunale, dovrebbe tenerlo sempre presente. La sua vita, in forme che vanno dalle più lievi a quelle estreme (come la stessa morte), non è delegata a nessun “concetto”, a nessuna idea astratta, ma ad una persona che è sempre quel che la sua vita la ha fatta divenire. Può trovarsi di fronte ad una persona degnissima, perché è chiaro che vi sono persone assolutamente perbene anche tra i giudici, come di fronte ad una carogna come il giudice Selah Lively (cognome che significa, ironicamente, “vivace”); il problema non è questo. Il problema è che si trova davanti ad uno Stato che si arroga il diritto di giudicare le vite altrui, demandando generalmente tale diritto a persone. La cosiddetta “imparzialità” viene quindi ridotta ad una semplice questione di fortuna, una vera e propria roulette russa. I cosiddetti “errori giudiziari”, al di là delle circostanze che possono produrli, sono anche e soprattutto il frutto di tale menzogna di base, così come lo è tutto il “diritto” in blocco. Una menzogna per molti necessaria, ma la cui vera natura non dovrebbe mai essere persa di vista. Naturalmente non è affatto un caso che una canzone come questa, che è una bomba a orologeria, sia stata concepita da un anarchico come Fabrizio De André.


La cosa può, naturalmente, essere estesa anche al di là dei giudici. Prendiamo ad esempio la persona raffigurata nella foto sopra: un importante uomo politico italiano ed ex ministro della Repubblica, per il quale parecchi hanno pensato -non senza fondamento- che la canzone di De André sia stata come scritta per lui in anticipo, quasi una profezia. Le prime due strofe sembrano il suo ritratto perfetto; la sua “carriera”, naturalmente, non è stata poi quella di magistrato, ma ha comunque avuto a che fare con il potere e con l'incidenza sulla vita di altre persone. L'on. Renato Brunetta ha, peraltro, mostrato in più occasioni di essere una persona rancorosa e capace di affermazioni da molti ritenute spregevoli; così come, per attaccarlo, non di rado anche personaggi pubblici di rilevanza (come Dario Fo) si sono serviti del suo aspetto fisico e, soprattutto, della sua statura. Il caso è quindi altamente emblematico e riporta tutto alla realtà: il “caso” descritto da Fabrizio De André e Edgar Lee Masters è assolutamente autentico. Da una parte la derisione generalizzata e l'accanimento, e dall'altra il conseguente incarognimento e l'ancor più conseguente vendetta. Quando tutto questo si coniuga con la possibilità di amministrare entità e decisioni che interessano la comunità (giudizio penale o amministrazione della cosa pubblica che siano), si può toccare con mano il “baco” immortale che rode l'umano consesso.

Ed è questo che rende grandissima questa piccola canzone due versi dei quali, Fino a dire che un nano è una carogna di sicuro / perché ha il cuore troppo, troppo vicino al buco del culo sono letteralmente passati in proverbio. Non è un caso che lo stesso Silvio Berlusconi venga definito dai suoi detrattori “il Nano” per antonomasia; e ce n'è per tutti. C'è il nano, c'è l'obeso, c'è lo storpio (“Dio lo ha punito”, “segnato da Dio”...), c'è persino quello altissimo come me (“lungo lungo e bischero bischero”, si dice a Firenze). Naturalmente tutto è sempre stato deciso da “Dio”, giudice supremo. Si torna sempre allo stesso punto. Dietro ogni giudice c'è un potere. Non si conosce affatto la statura di Dio: e se anche lui non fosse altro che un nano rancoroso, e se affidarci all'inferno si rivelasse un "piacere del tutto suo"...?

Баллада повешенных. Balada dos enforcados.





Мы умирали, страдая,
звук свой последний глотая.
Ветер ногами пиная,
видели, как свет исчезает.

Солнце наш крик услыхало.
Воздух подставил объятья.
Слова превратились в кристаллы
невысказанного проклятья.

Прежде, чем все завершилось,
мы всем показали умело:
зло, что за час получилось,
стоило нам жизни целой.

Вот мы скользнули из бреда
к гибели без расслабленья,
вымолвив древнее кредо
тех, кто умирал без прощенья.

Тот, кто осмеял пораженье,
позорил нас или конфузил,
в подобном другом удушенье
пусть сам узнаёт этот узел.

Те, кто нас в землю зарыли,
шли дальше своею дорогой,
Пусть кто-то в тумане и пыли
подходит к могиле убогой.

А та озорная девчонка,
что легкой улыбкою скрыла
желанье сказать нам вдогонку,
лицом навсегда изменилась.

Взращенная злоба ворчаньем
легла вместе с кровью на плечи.
А то, что назвали страданьем -
недоговоренные речи.

Todos morremos com pena
engolindo a última voz,
dando pontapés ao vento
vimos esvair-se a luz.

O grito arrastou o sol,
o ar fez-se estreito,
cristais de palavras,
a última praga dita.

Antes de tudo acabar
lembrámos aos sobreviventes
que o preço foi a vida
pelo mal feito numa hora.

Escorregámos no gelo
duma morte não aliviada,
dizendo o antigo credo
dos que morrem sem perdão.

Quem se riu da nossa derrota
e do modo e da vergonha dela,
sufocado pelo mesmo aperto
aprenda a conhecer o nó.

Quem nos espalhou terra nos ossos
retomando tranquilo o caminho,
chegue desfigurado à sua fossa
no nevoeiro da madrugada.

A mulher que escondeu sorrindo
a pena de ela nos recordar,
cada noite ache na sua cara
um insulto do tempo e uma escória.

A todos guardamos rancor
que cheira a sangue coalhado,
o que então chamámos dor
só é uma história em suspenso.
 
 

giovedì 20 novembre 2014

Sprèi antagonista



Nella foto sopra sono raffigurati alcuni esemplari dei peperoncini più terrificanti del pianeta Terra.

Non sto esagerando, niente affatto. Per i palati non allenati e non in vena di quello squisito e piacevolmente estremo masochismo che è caratteristica dei capsicòmani, qualche frammento di uno qualsiasi di questi peperoncini potrebbe risultare pressoché mortale. Sono tutti di origine sudamericana e asiatica.

Si prega astenersi, vivamente, da qualsiasi pappardella "calabrese" o roba del genere. Nella scala Scoville, il più piccante dei peperoncini calabresi è acqua fresca, in confronto a questi qua.

Il problema, come dire, è che la foto non proviene da qualche fonte in Rete, da Wikipedia, o da un sito specializzato; l'ho scattata io di persona, una mezz'oretta fa a casa mia, e i peperoncini sono adagiati su un foglio di Scottex sopra il piano della cucina a gas.


Questo qua sopra è un Moruga Yellow Trinidad Scorpion.

Fino al 2013 ha detenuto, sia nella variante gialla sia in quella rossa, il record di peperoncino più piccante del mondo. Ha raggiunto la gradazione di 2.000.231 SHU (Scoville Heat Units); per fare un raffronto, le mammolette calabresi raggiungono a malapena i 16.000 SHU. Nel 2013 è stato scalzato dal trono da un peperoncino statunitense, il Carolina Reaper; ne ho avuti tra le mani due o tre lo scorso anno, ma quest'anno non se n'è vista l'ombra, ohimé.

Del Trinidad Scorpion, comunque, Wikipedia dice: " La sua piccantezza è così pericolosamente alta (il succo capsico ha persino irritato le mani dei ricercatori passando attraverso i guanti in lattice) che l'assaggio, suggeriscono gli studiosi, dovrebbe essere fatto con estrema cautela."  

Sappiate che, stasera, me ne sono mangiato mezzo di un esemplare identico a questo, condendoci un piatto di pasta mista al pomodoro e cipolla. Trentacinque anni di assuefazione. È un'esperienza mistica, sublime. L'LSD gli fa una sega. Si diventa prima gialli in faccia, poi sul verdognolo, poi sul rosso acceso. Si comincia a lacrimare come fontane, e a perdere abbondante liquido dal naso. Non si sentono "vampe": si sente l'assoluto. Il tutto mantenendo una rigorosa calma. Al termine del piatto mortale, un po' di vino, un sorso d'acqua e una fetta di pane.

Tutto questo tra le mani di un noto antagonista, di quelli che fanno ammattire Matteino, Giorgino, Angelino, Salvino e tutti gli altri, dovrebbe far preoccupare seriamente le autorità; specialmente in questi frangenti, dove pare che le forze dell'ordine stiano per essere dotate del famoso sprèi al peperoncino.

Come si può vedere, gli antagonisti si stanno attrezzando, assuefacendosi alle dosi più micidiali dei più mortiferi peperoncini del pianeta. E' oramai noto alle Qvestvre che in parecchi centri sociali si stanno allestendo vere e proprie piantagioni di peperoncini di distruzione di massa (i già citati Trinidad Scorpion e Carolina Reaper, i Naga Morich, gli Infinity, gli Habaneros e roba del genere). Ben presto potrebbe essere avviata una produzione, artigianale ma efficace, di sprèi antagonista, anche se, ovviamente, sogno di ogni militante sarebbe quello di infilare un Trinidad Scorpion nel culo al manganellatore in divisa di turno.

Si assisterebbe in tal modo a curiosi balletti di piazza, la solidarietà di Alfano sarebbe alquanto imbarazzata (vi immaginate quell'individuo che, in conferenza stampa, esprime il suo sentito appoggio agli agenti fatti vile oggetto di un peperoncino nell'orifizio anale?) e il consueto esponente del SAP potrebbe aggiungere ben due milioni di Scoville agli oramai classici 1200 euro al mese.

mercoledì 19 novembre 2014

Nella vecchia Pisapìa, ìa, ìa, oh



Il bello è che, quando lo avevano eletto col suo bravo “ballottaggio”, gli avversari erano quasi convinti che lo avessero “votato” pure quelli dei centri sociali; anzi, era tout court il “sindaco dei centri sociali e degli immigrati”, il Pisapia (io lo dicevo fin da subito che a Pisa-pia preferivo Livorno atea!). Ora, dovete sapere che i “centri sociali”, in generale, sono visti come una sorta di monolito, di massa granitica e indifferenziata; tutto questo per dire che non escludo affatto che diversi militanti, appartenenti o frequentatori di centri sociali milanesi abbiano messo la loro crocetta sul nome dell'avvocato progressista, nel maggio del 2011. Del resto, era o non era stato candidato a sindaco, inizialmente, da “Sinistra Ecologia e Libertà” e dalla Federazione della Sinistra, mandando in soffitta il candidato piddino Boeri alle primarie? E, nella sua storia personale, aveva o non aveva persino quattro mesi d'ingiusta galera per banda armata nell'ambito di un'inchiesta su Prima Linea e sui CCR?

Beh, state tranquilli, cari meneghini. Lo sciur Pisapìa ne ha fatta, di strada. Altro che “centri sociali”, e l'unica banda armata cui appartiene attualmente è quella armata dallo Stato, altresì detta genericamente Forze dell'Ordine. Quella banda che manda a sgomberarli, i “centri sociali”, con gran dispiegamento di mezzi, con i media di regime già pronti a fare il computo degli “agenti feriti”, con gli arresti di prammatica e con le giustificazioni “progressiste” precotte. Non che si potesse nutrire alcun dubbio, però in questi giorni il borgomastro ha fatto il tanto atteso outing definitivo: è dei vostri. Anema e core. Senza se e senza ma. Mentre interi quartieri di Milano affogano compresi cani e gatti, lui cosa fa? Annuncia il pugno duro e la tolleranza zero contro le occupazioni. Un dettame governativo incarnato. Via il Corvaccio, via il Rosa Nera, difesi soprattutto dagli occupanti delle case ALER. Le classiche dichiarazioni con la mascheratura “sociale”: “Le occupazioni abusive tolgono la casa a chi ne ha diritto”. In questi ultimi anni, specialmente in tonnellate di chiacchiere internettare, protagonista è stata la barricata; tutti quanti, almeno per una volta, ci siamo ritrovati su fantomatiche barricate da dove sparavamo soprattutto cazzate. Ebbene, sembra passato inosservato il fatto che ieri, al Corvetto, le barricate sono state fatte per davvero. Da un manipolo di occupanti che si opponevano allo sgombero di due spazi sociali di quartiere a cura del borgomastro progressista. Le barricate tanto evocate si sono manifestate in una giornata milanese novembrina in una via Ravenna qualsiasi. Altro che Comune di Parigi, questo è il Comune di Milano.

E si capisce anche. Il borgomastro può andare fiero di essere finalmente diventato un sindaco di Milano come tutti gli altri. Con gli stessi attributi di una Moratti. Un sindaco della legalità, per la quale è in prima linea (ops!). Il più tipico SS (Sindaco Sgomberatore) del XXI secolo. Un sinistro ecologico libero. Un incassatore di plàusi da parte della stampa imbeddata. Un preoccupato del Salvini che monta, sennò alle prossime elezioni stai a vedere che vince la Lega. Un Merola, che prende al volo la cacciata di Salvini da Bologna per annunciare il giro di vite sui centri sociali bolognesi (quelli che devono fare solo “musica e cultura”). E, a questo giro, mi tocca, a me noto mangiaprefetti, citare il prefetto di Milano, Francesco Paolo Tronca, che, dopo le roboanti dichiarazioni del Pisapìa, lo smentisce di fatto annunciando che "Oggi non parte nessuna task force e nessun blitz, per noi le occupazioni sono un problema di disagio e fragilità sociale." Intanto, però, “Gli sgomberi decisi settimanalmente dal tavolo tecnico-operativo della Questura proseguiranno come da programma”. Ecco, bisogna proprio immaginarcelo, il Pisapìa, seduto a quel “tavolo tecnico-operativo della Questura”. Un ometto di potere come quegli altri, e niente più.

Cara, vecchia Milano. Credevi, ah ah, di aver voltato pagina nel 2011. Avevi suscitato speranze, dimostrando una volta di più che la “speranza” è un concetto viscidamente cattolico e congelante. E anche preoccupazioni. Bene, eccotelo qua il tuo bel sìndaco tradizionale. Puoi tirare un gran sospiro di sollievo.