mercoledì 25 giugno 2014

Salviamo i nostri Balò !!



Stamani, 25 giugno dumilaquattòrdici, si notava nell'aria qualcosa di nuovo, anzi d'antico. Nel giro di venti secondi erano scomparsi del tutto i vessylli tricolori appesi alle finestre (che, invero, a Firenze erano dimolto pochi); nel medesimo giorno in cui l'ennesima persona crepava di pallone, e come un cane in un fondo di letto d'ospedale, ammazzato da un fascista di merda, e sempre nello stesso giorno in cui si licenziavano quattro operai per aver impiccato un manichino con la faccia del padrone.

Succedeva che un manipolo di strapagate nullità, alle quali avevano approntato persino i menù diversificati e la criosauna perché sennò ci avevano troppo caldo, piccinini, si facevano sbattere ignominiosamente dai mondiali di Pallone nonostante i loro esibitissimi "fisici bestiali", i toraci scolpiti, i tatuaggi DVX, le creste, gli orecchini e tutto il resto; e tichiquì, e tacalà, e a casina dal Brasil. I "nostri ragazzi". O vediamo ora se, finalmente, si comincia a fare un uso un pochino più parco di questo elementare aggettivo possessivo, ridotto oramai al rango di ammennicolo di un nazionalismo da quattro soldi bucati che annega regolarmente nel ridicolo.

Guardate quindi di pensarci due o tre volte, d'ora in poi, prima di definire "nostri" degli squallidi personaggi che sono, e restano, soltanto vostri. Sono vostri, e vostri e basta, quei putrefatti che sono andati in Brasile a esercitarsi a puntino nell'arte degli imbecilli, ovverossia i centoquaranta caratteri di Titti il Canarino. A proposito di Brasile, poi, mi piacerebbe sapere come si sentono ora quei patriòtti tricolorati che invocavano boicottaggi, guerre sante e altre forme di màschia & italica reazione ai tempi della vicenda di Cesare Battisti; la maschìssima reazione dell'armata inviata in Brasile la si è vista perfettamente, a cura dei "nostri ragazzi", e suggerirei caldamente agli starnazzatori di allora di cambiarsi nome. Non più "Forza Italia", ma "Forza Costarica". Non più "Fratelli d'Italia", ma "Fratelli dell'Uruguay". 

Com'erano tristi e contriti, i "nostri ragazzi", al termine della loro meravigliosa esibizione di forza; d'altronde bisogna capirli, con quella insopportabile temperatura da Valle della Morte (ben ventisette gradi!). Bisogna salvarli, ora. Anche se, è vero, per essere salvati a puntino ci avrebbero avuto bisogno, che so io, di due o tre fucili d'assalto; e che, invece d'essere allo stadio di Natal, sarebbero dovuti essere a bordo d'una nave da carico a sparare a dei pescatori disarmati. Così si fa! Suárez sgomita e tira i morsi? Una bella raffica tirata bene. Godín salta pronto a fare goal nella porta di "Bojachimmolla" Buffon? Lo si abbatte a fucilate. Però occorre fare di necessità virtù; non si possono avere sempre a disposizione dei nostri Marò, pronti per far la guerra all'India così come la si voleva fare al Brasile. Ora bisogna accontentarsi dei nostri Balò. Qualcosa di "nostro" va pur sempre trovata; qualcosa da salvare non la si nega a nessuno.

Così, oggigiorno, invece dei due veri italiani in divisa militare e armati fino ai denti, tocca salvare una venticinquina di raccattati che tirano (malissimo) calci ad un pallone; una congrega di twittatori unti di olietti vari, con le diete diversificate, i cuochi appòsiti, gli alberghi a dieci stelle, le findanzate e le mögli, i figli delle mödelle, il gossip, le Ferrari e le Maserati, gli ingaggi e pure le lagrimùcce quando vengono ridicolizzati dalla Costarica. Ma tutti uniti nel Tricolore. Tutti nel corazón del Presidiente. In fondo, a pensarci ben bene, la differenza è piuttosto poca; tutti nostri. Pardon: tutti vostri. Vi meritate sia Latorre che Balotelli. Sia Girone che De Rossi, peraltro noto fascistone. Siete sempre quelli eternamente pronti a dichiarare guerra al mondo per poi scappare su un camion travestiti da caporali tedeschi, da fucilatori di pescatori e persino da calciatori. I nostri Marò, i nostri Balò, i nostri Quattrò, i nostri Cogliò.

lunedì 23 giugno 2014

In viaggio con Stellina



Qualche tempo fa, in luoghi lontani e vicinissimi al tempo stesso, sono stato un po' in viaggio con Stellina.

Stellina la si vede nella foto; è una cagnetta che definire simpatica sarebbe troppo poco. Più che altro, è una cagnetta che, per certi impervi sentieri, va da sola. Ha, per modo di dire, una "padrona" (*); volendo, ha pure tutta la bardatura necessaria per l'attacco del guinzaglio; solo che la sua "padrona", per tutto dire, il guinzaglio non lo ama affatto. Specialmente quando la lascia libera su quei sentieri di cui parlavo prima; su quei sentieri, dopo un po', ci sono ben altri guinzagli, riservati stavolta a tutta una popolazione.

E così Stellina si scatena; con le sue zampette e vedendo il mondo da un'angolazione, presumo, parecchio differente dalla nostra, percorre i sentieri con sicurezza ma seguendo traiettorie sorprendenti e viaggiando tranquilla sui cigli di certi dirupi e di òrridi raggelanti; almeno per il sottoscritto, che soffre notoriamente di vertigini e che aveva intrapreso quel viaggio, una domenica, non del tutto certo di farcela ad arrivare alla meta.

Un viaggio incominciato nel posto che si vede qua sotto:


Chi lo conosce, bene o male che sia, si lascerà forse sfuggire un "toh!", o roba del genere. Però, magari, qualcuno non lo conosce; e allora, senza lasciarmi tentare dal dèmone del preambolo, dirò subito che si tratta del presidio NO TAV di Venaus. (**)

Si capirà quindi facilmente che la cagnetta Stellina, assieme alla sua "padrona" e agli altri umani che viaggiavano con me, percorrevano quei sentieri -con zaini e vettovaglie- muniti di una certa idea in testa. Sono gli stessi sentieri di libere repubbliche, di battaglie vinte e perse ma sempre ad armi impari, di scontri in mezzo a foreste che, nella loro millenaria vita, tutto avrebbero immaginato fuorché di vedersi ricoprire di resti di CS; sentieri che, ad un certo punto, si interrompono perché si interrompe la continuità territoriale. Ma questo lo si vedrà meglio dopo.

Il tempo, in montagna, cambia alla svelta. Il giorno prima faceva un caldo boia; il giorno dopo, cioè el domingo de mañana quando ci siamo messi in marcia, piovigginava e faceva freddo. E non c'è assolutamente da stupirsi, quando si alzano appena gli occhi e si vedono scenari del genere:

 
Nel frattempo Stellina, come se altro nella sua canina vita non avesse fatto che scodinzolare per quei posti, adempiva alla sua funzione di guida, che meglio si direbbe di genius loci. Mi ero messo dietro a lei, con una specie di ingenua voglia di "tirare la fila"; un classico de' classici, si potrebbe dire, per uno che non è troppo abituato alle camminate di montagna, e che vuol far vedere quant'è bravo e resistente a chi, invece, c'è abituato da sempre. Fatto sta che, dopo un po', avevo letteralmente la lingua avvolticciolata al collo, mentre la Stellina mi irrideva zampettando su certi cigli di burroni che avrebbero fatto venire le vertigini pure a Reinhold Meßner (si noti la "ß").


Cammina che ti cammina, all'improvviso ci compare, longinquo, alla vista un bel paesello; e la Stellina si mette festosa a abbajare, forse per averci -chissà- qualche amico o parente a quattro zampe. Informandomi, da buon forestiero, dai miei compagni di camminata, vengo a sapere che si tratta di tal Chiomonte (***), e mi risona in testa come qualcosa di vagamente familiare. All'improvviso, la lampadina: ma sì! Eccomi dunque di fronte al paese e al territorio comunale più militarizzato del mondo, praticamente due armigeri ogni abitante e delle truppe più specializzate e disparate, ivi compresi i reduci dalle missioni di pace in Afghanistan e i famosi cacciatori di Calabria (magari in Calabria, in questo preciso momento, avranno inviato i Pescatori del Piemonte; vaglielo a spiegare, a loro, della filiera corta e dei chilometri zero...). Mi rendo all'improvviso conto, recuperando persino un po' di fiato, che quella passeggiata in compagnia della Stellina e degli altri compagni e compagne non volge precisamente al bello, mentre il tempo, così come s'era rabbujato e rinfreddito all'improvviso, altrettanto di repente torna bello e anche vagamente caldo. Mi spiegano che ci stiamo inoltrando verso il Confine Invalicabile, là dove il Bel Paese dove 'l Sì risona termina per decreto ed inizia il Regno di Cantièria. (****); regno il cui territorio può essere abbracciato con la vista, in tutta la sua amenità, soltanto alla curva successiva del sentiero. 

Su detto sentiero iniziano per altro a comparire bizzarre barriere, che preannunciano il Confine;  e, sulle barriere, scritte che si fanno decisamente minacciose ed assai esplicite. La Stellina si fa un'altra piccola abbaiata, assai allegra quasi a volere far notare a tutti che -a suo insindacabile & canino parere, il mondo rimane tutt'uno anche e soprattutto le buffe frontiere escogitate dagli umani.




Dalle scritte si evince che i rapporti tra la Repubblica Italiana e il Regno di Cantièria non debbono essere propriamente amichevoli; si parla addirittura di truppe d'occupazione, segno palese -tra le altre cose- che poche ma addestrate truppe d'un minuscolo reame bastano per mettere in iscacco l'intera Italia. Poi, però, la cosa si complica; innanzitutto mi dicono che tale Regno è sorto da un giorno all'altro non per desiderio d'indipendenza o per rivendicazioni sociali e culturali, bensì, pensate un po', per costruire un lunghissimo tunnel e per farci passare un treno super-superveloce atto a collegare la città di Torino e quella di Lione risparmiando sì ben un quarto d'ora di tempo rispetto a quello già esistente (e già superveloce), ma finendo di devastare la già ampiamente devastata Valle, radendo al suolo paesi interi, seccando le sorgenti e -soprattutto- facendo fare fior di soldoni a imprese, cooperative, consorzij, muratori & cementisti ravennati, senatori col cappellino da pescatore, procuratori della repubblica che mandano in buje galere chiunque si opponga e giornalisti apostoli della libertà di stampa. Poi mi dicono anche, con mia somma esterrefazïone, che le truppe del Regno di Cantièria sono in realtà truppe altamente addestrate dello Stato Italiano; al che ne deduco di esser di fronte al caso, più unico che raro, di uno Stato che occupa militarmente il suo stesso territorio per crearvi un'Entità non più soggetta alle sue leggi e ai suoi ordinamenti. E la Stellina, noncurante di tutto ciò, va avanti. Ma sarà ora di mostrarvelo, codesto Regno di Cantièria, in tutta la sua meravigliosa bellezza:



Mi chiedo, naturalmente, se pubblicare queste immagini del Regno di Cantièria non possa procurarmi qualche guajo giudiziario che s'andrebbe ad aggiungere -peraltro- a quelli che già ho; ma, in fin dei conti, poiché si tratta di uno Stato Estero riconosciuto pienamente dalla Repubblyca Italiana che lo sostiene e lo protegge da se stessa, non vedo come possa essere diverso dal pubblicare immagini, che so io, della Francia, del Qatar o di ogni altra nazione del mondo. Che, comunque, si tratti di un Territorio svincolato dallo Stato Italiano, lo si vede dalle sue frontiere:


Ci sarebbe, qui, da fare un piccolo excursus. Riguardante, ad esempio, tutti gli anèliti di libertà che scossero anche questo Paese quando, vi ricorderete sicuramente, cadde il muro di Berlino; masse festanti, abbattimenti, Trabant, il mondo libero e quant'altro. Sicuramente, Berlino è una metropoli che nulla ha a che vedere con questa Valle dimenticata da Dio e da' Santi; ma, per un momento, mi son figurato uno che, con una Trabant o a piedi, intendesse valicare questo qua, di muro. Altro che Volkspolizei. Mi spiegano che, poco più in là, c'è un ponticello su un ameno ruscelletto chiamato torrente Clarea; sarebbe questo.



Ebbene, lo vedete; qui non c'è bisogno di fare difficili ipotesi etimologiche quali sto tentando nelle Note. Clarea è, chiaramente, derivato da Clarèiga o Claràiga, "acqua chiara", e l'acqua è effettivamente chiarissima, verrebbe voglia di berne senza tener conto delle sostanze, non del tutto chiare, che vi sono disciolte da quando esiste il Regno di Cantièria, e che -mi dicon sempre- vi hanno provocato diffuse morìe di pesci. In compenso vi sguazzano liberi e allegri, così come si evince dalla loro quantità sparsa anche sul terreno, colonie di cartucce di lagrimògeni al CS sparati a altezza uomo, a altezza donna, a altezza bambino, a altezza cane, a altezza tutto. Pure il torrente sembra diventato un lagrimògeno, mentre la compagnia mi racconta di un certo tre di luglio di alcuni anni fa, quando il Regno di Cantièria s'impadronì manu militari della Valletta che ora forma il suo blindatissimo terrythorio. Due de' compagni si fermano al ponticello e si mettono a sedere, in quanto colpiti da pesantissimi provvedimenti giudiziari ed essendosi peraltro fatti diversi mesi di galera, esperienza che (umanamente) ambirebbero a non ripetere o quanto meno a rimandare; gli altri danno bizzarre istruzioni concernenti il passaggio del ponticello, che è zona rossa e non può essere calpestato mentre si potrebbe passare sui suoi parapetti e al suo esterno, ancora territorio italiano.

La Stellina, chiaramente, se ne frega e parte in tromba; le truppe del Regno di Cantièria ci hanno già individuati e stanno arrivando di gran carriera. E qui si presenta un lieve problema per il sottoscritto, dato che, a quel punto, è necessario buttarsi nella fitta foresta, cosa che gli altri fanno agilmente. Io, ohimè, agile non sono; oltracciò, mi ricordo che circa tre anni fa ho avuto pure un infarto del miocardio (se lo avevi avuto tu, caro lettore, era del tuocardio) e che, pur stando attualmente bene, non ci posso scherzare troppo. Ma la potenza degli armigeri che si avvicinano mi fa riguardagnare all'improvviso i vent'anni lontani; in breve, mi butto anch'io nel bosco sia pure con gesti parecchio diversi da quelli di Yuri Chechi. E vado su che sembro unto. Volete risentirvi giòvini? Vi consiglio, almeno una volta ogni tanto, di farvi inseguire da una bella insalata di Polizia®, Carabinieri® eccetera. E' un trattamento che fa myracoli.



La Stellina, però, se ne sbatte altamente le canine ovaje; e mentre due restano a sedere in territorio italiano e gli altri scappano per la foresta al di là del Clarea, se ne resta sul ponticello mentre arrivano gli armigeri capitanati, si pensi, da una dönna. Raggiunta la cagnolina, questi qua si mettono pure a accarezzarla e a farle le coccoline, mentre lei scondinzola e fa loro le feste senza capire, la pìccola, che in quel momento ha funzione di ostaggio. Qui ho l'obbligo di dire che, per un po', cessano le fotografie; di altre foto si parlerà tra poco. Vista la Stellina in mano alle truppe, riscendiamo tutti pronti al peggio.

Ripresa la Stellina, veniamo infatti tutti quanti identificati sotto tiro da dei colossi in divisa, che provvedono -appunto- a fotografare i nostri dhokumenti mentre uno dei due che era rimasto seduto sul ponticello sul Fiume de' Guay consegna loro, con gesto di sfida, la carta d'identità della Libera Repubblica della Maddalena avendo con que' tizi e quella tizia un sympathicissimo contenzïoso; alla fine, ebbene sì, gliela fotografano pure. Segno inequivocabile che, anteriormente al Regno di Cantièria, quella valletta doveva esser già stata indipendente, ma sotto tutt'altre circostanze. Vi doveva essere anche un'abitazione, o rifugio, o chissà cosa come si evince da alcune indicazioni sul sentiero:


Orbene, debbo dire che, almeno per questa volta, ce la siamo cavata con abbastanza poco. Un'identificazione e un battibecco, non senza che la comandanta del drappello (addirittura una Colonnella, come ha tenüto a specificare) sia stata prima apostrofata di serva assieme a tutti i suoi commilitini & commilitoni (e se dar di pecorella a un loro collega può far beccare quattro mesi di carcere, ci aspettiamo, prima o poi, quantomeno due anni di remo sulle medicee navi). E sapete che cosa ha ribattuto costèi? Una cosa originalissima: che prende 1200 euro al mese. Pure sottopagata, la poverina; si vorrà pur concederle qualche affettuosa carezza alla Stellina, identificata e fotografata pure lei.

Sapete che il sottoscritto è capace di parlare e intendere parecchie lingue; all'occorrenza pure quella dei cani, anche se la parlo in modo alquanto sgrammaticato. Mentre salivamo su per il bosco per constatare che la famosa baita, la baita Clarea, era stata inglobata (abusivamente) nel Regno di Cantièria, a mo' di simbolo dell'occupazione, e che, nella sua rigida bellezza di pietra, osservava lo scempio che si svolgeva davanti a lei, spiegavo in qualche modo alla Stellina di non lasciarsi mai abbindolare; e che le stesse persone che la carezzavano mentre lei faceva le feste non avrebbero esitato un istante, se fossimo andati solo un po' più avanti, a sparare addosso a tutti noi e pure a lei -chiaramente per 1200 euro al mese. Ma la Stellina lo sapeva benissimo, da brava e intelligente cagnetta; mi ha persino confidato un segreto, vale a dire che, mentre la carezzavano, aveva depositato a uno di quei tizi una bella cacata sulle scarpe. Al che s'è meritata, poco dopo, qualche bocconcino buono di tutto il bendiddìo che c'eravamo portati dietro.

Com'era bella quella foresta, anche se me ne sono rimasto disteso sull'erba a cantare canzoni parecchio antiche mentre gli altri andavano su per sentieri troppo impervi per uno come me; già avevo fatto abbastanza. Poi s'è fatta ora di tornare indietro, e di lasciarci alle spalle sia le bellezze votate a morte, sia la morte votata a soldi. Ci sorrideva, e non so interpretare bene la cosa, un sole tornato caldo, da tardissima primavera; e la Stellina, mia e nostra compagna di viaggio, lei, sì, lo capiva. Alla perfezione. Ci parlava. Ci stava dentro.



NOTE.

(*) In tutto questo (non breve) post ho evitato accuratamente di fare nomi, a parte quello della cagnetta Stellina e il mio. In luoghi e situazioni dove si mettono in galera per "terrorismo" dei cristiani per aver messo fuori uso un compressore, meglio usare elementare prudenza.

(**) Secondo approfonditi studi etimologici, il nome "Venaus" è uno dei tanti che, nella zona delle Alpi occidentali, riflette il nome dei Vennavii, più noti come Veneni, popoli stanziatisi in epoca preromana nelle valli di Stura e di Susa. Si tratta, quindi, di un toponimo la cui origine si perde veramente nella notte dei tempi. 

(***) In occitano Cháumount, in piemontese Cimon. Per l'origine del nome esistono due ipotesi: o dal latino Caput Mons ("in cima al monte" o qualcosa del genere), o sempre dal latino Calcis Mons ("monte di calce", per via di certe cave di calce che si trovavano nel territorio).

(****) Sull'origine di tale nome pure esistono diverse ipotesi. Alcuni preclari studiosi lo fanno derivare dall'occitano Chantiàire, poetico nome per "Aria che canta", mentre altri pensano piuttosto al latino volgare Cantager "campo laterale". Del tutto da scartare, naturalmente, le ipotesi che lo vorrebbero derivato da "cantiere".

venerdì 20 giugno 2014

Lettera al Direttore


Egregio sig. Direttore,

Chi Le scrive è un fedele lettore della Gazzetta del Corriere (o del Corriere della Gazzetta, mi confondo sempre) fin dai tempi della prestigiosa conduzione del dr. Cilindro Marinelli, indimenticato maestro di giornalismo. Quasi cinquant'anni di quotidiana lettura delle vostre servili stronzate prezïose opinioni, che, non lo dico per piaggeria (e invece sì), hanno guidato la mia vita. Mai avevo deciso però di appalesarmi decidendomi a scriverLe una lettera; se lo faccio, oggi, è perché la sitüazione che vive questo disgraziato paese è giunta davvero ad un punto di non ritorno. Non bastassero i cotidiani segnali e fatti di sfacelo morale & civile, signor Direttore, adesso siamo infatti costretti a vivere e sperimentare una delle più terribili emergenze dovute a un popolo barbarico: l'emergenza de' Lombardi.

Nella sua lunga storia, come Lei ben sa, signor Direttore, il nostro paese è stato posto di fronte a innumerevoli neqüìzie, peripèzie, guerre e devastazïoni dovute alle orde de' più barbarici popoli; da' Visigoti a' Lanzichenecchi, dagli Spagnuoli agli Austriaci, da' Tedeschi agli Americani, da' Calciatori a' Turisti; imperciocché mi stupisco sempre alquanto, signor Direttore, quando leggo e sento parlare di invasioni a proposito di alcune periodiche masse di straccioni, quando il sacro suolo d'Italia è stato invece costantemente calpestato da interi eserciti di belve assetate di sangue. E di vere belve assetate di sangue si deve, ahimé, parlare anche nel caso de' Lombardi; i quali, non a caso, sono diretti discendenti -anche nel loro stesso nome- da quei Longobardi delle antiche istorie, gli uomini dalla longa barba che finirono poi per essere assimilati ne' secoli. Ma, evidentemente, qualcosa della loro primitiva barbarie è rimasta nel sangue de' Lombardi di oggi.

Ne fanno fede i terribili episodi avvenuti quasi a getto continüo negli ultimi giorni; oramai sono fatti che non si possono più sottacere e che necessiterebbero di una reazïone forte e decisa da parte della SS (Società Sana). L'emergenza de' Lombardi, oramai, minaccia la civile convivenza; e la voce, potente e forte, del Suo giornale, dovrebbe farsi sentire. I fatti cui siamo di fronte superano infatti ogni limite, e visto quanto a Lei e al Suo giornale sta a cuore quore la sicurezza, mi permetta di ricordarLe, seppur brevemente, questi fatti.

Si è partiti con l'ennesima strage familiare, ma stavolta con modalità particolarmente efferate e, mi permetta di dirlo, signor Direttore, tipicamente degne di una stirpe barbarica qual è quella lombarda; del resto, poiché in questo sciagurato paese è oramai invalso dire -ad esempio- che i rumeni hanno lo stupro nel DNA (o nel sangue), sarà bene ricordare anche la longobarda Rosmunda che bevve nel cranio di suo padre. Stavolta, un giovane lombardo (sembra perdutamente innamorato di una collega di lavoro che -sia detto milan nos inter nos- non lo cacava manco di striscio) ha prima accoltellato a morte la consorte dopo aver consumato con lei un amplesso sul divano, e poi si è recato nelle camerette dei pargoli dormienti (una bambina di 5 anni e un maschietto di soli 20 mesi) e ha fatto lor subire la medesima e tragica sorte della madre. Indi di poi si è fatto tranquillamente la doccia e pure un riposino (si deve capire la gran fatica che un lombardo prova dopo aver prima copulato e poi sterminato i suoi cari), ha fatto un po' di messinscena nella villetta e poi si è recato al bar a vedere la partita di pallone Enotria-Albione con commozïone e partecipazïone, esultando come un bambino ai goals di tali Marchisio e Balotelli (quest'ultimo solo abusivamente italiano, in quanto notoriamente negro). Poi è tornato a casa appositamente per scoprire la sua famiglia massacrata, naturalmente per un tentativo di rapina ad opera -chiaramente- di una banda composta da un misto di zingari, albanesi, rumeni, serbi e quant'altri. Quando il giovane lombardo è crollato e ha confessato ai Carrabbinèra il proprio exploit, già i primi vicini avevano dichiarato ai fogli di carta da culo giornali che erano state compiute numerose rapine nelle ville e già, probabilmente, si meditava la consueta fiaccolata. Ma dei vicini, signor direttore, avremo a riparlare in seguito.

Passiamo ad un altro giovane lombardo, quello oramai famoso dalle bionde ciglia nonché padre di famiglia (che fa pure la rima). In Lombardia siamo stati abituati ai Bossi, e stavolta ci abbiamo i Bossetti; sto parlando, insomma, di quel signore il cui DNA corrisponde al 99,987% a quello ritrovato sui vestiti di una povera ragazzina di tredici anni, Yara Gambirasio, prelevata, violentata e lasciata morire in un campo il 26 novembre 2011. Colpa di Yara, quella di essere una giovanissima donna; tant'è che la sua immagine entrata nella visione collettiva non è certo quella della prima comunione o comunque una normale fotografia: sempre e solo in costume o in completo da ginnastica, dove si vedono bene le sue forme fatte coniugate con l'apparecchio dentale da adolescente. Tutto quel che può eccitare gli appetiti di un tranquillo pater familias lombardo, onesto lavoratore e proprietario di una bella autovettura di marca Volvo. Dopo il paziente lavoro degli inquirenti e tutta una storiaccia di riesumazione di cadaveri e figli illegittimi, poche mattine fa qualcuno ha bussato, toc toc, alla porta di una casa di un grazïoso paesello del bergamasco e il biondo Bossetti è stato portato in gattabuja. Non prima, naturalmente, che, poco dopo il ritrovamento della sventurata ragazza, non fosse stato accusato l'extralombardo di turno, per arrestare il quale erano state scomodate persino le motovedette mentre si stava recando nel suo paese.

Che dire poi di quell'altro giovane Lombardo, tale Frigatti Davide, che sempre pochi giorni fa, nell'hinterland milanese, è sceso per strada armato di coltello sicuramente deciso a non usarlo per sbucciare mele o affettare salamini cacciatorini? E, infatti, lo ha usato per pugnalare chiunque gli si trovasse a tiro, ivi compreso il gestore di un autolavaggio di Cinysello Bälsamø che, come ci raccontano le cronache, non azionerà mai più le rotospazzole grazie alla fine di una relazione del suo accoltellatore, al rifiuto che costui aveva ricevuto da altre due fanciulle (il che dimostra, signor Direttore, che è sempre colpa delle donne, ancorché lombarde pur esse) e al più che classico conforto della religione nella quale il Frigatti Davide s'era rifugiato. Del resto, è arcinoto che quando la fidanzata ti manda al gas e/o altre signorine ti danno il due di picche, c'è sempre un qualche dio pronto all'uso; sono certo che, ad esempio, il 98% dei "buddhisti" della Soka Gakkai, quelli del namiorenghechiò, sia formato da fidanzati e mariti piantati. Sono un illuminato!, dichiarava il Frigatti; illuminato come il famoso Kabobo, suo predecessore, che alcun tempo fa diede di fuori del tutto massacrando, sempre a Milano, tre passanti. Unico piccolo particolare: il Kabobo è negro. In quanto negro, ha diritto esclusivamente al gommone (o alla carretta di mare), al CIE e ai banchetti della Lega Nord del lombardo Salvini (uno che, francamente, vedrei benissimo nei panni di papà sterminatore della famigliuola nella villetta). Assolutamente proibito, ai negri, impazzire di brutto -magari, chissà, per una vita di merda stenti-; diritto, invece, pienamente riconosciuto ai lombardi abbandonati della crüdele fidanzata e rifiutati da altre perfide donne (che, sia detto, in lui avrebbero trovato un padre e un maryto amorevole, pronto a sgozzarle alla prima occasione favorevole). Tanto è vero, che non si sono visti minimamente, nel caso del Frigatti, né banchetti leghisti, né gazebi, né appelli alla sicurezza sui giornali -tipo quelli, roboanti, che apparvero anche sul Suo in occasione del negro Kabobo).

Come ho avuto a dir prima, signor Direttore, qualche considerazione deve esser fatta, in tutti questi casi, anche sui celeberrimi vicini di casa; quelli, per farla breve, sui quali i Suoi colleghi della carta stampata e delle televisioni piombano circa due minuti e mezzo dopo i fatti per raccogliere le impressioni. Avrà notato, signor Direttore, che le risposte dei vicini sono, più o meno, sempre le stesse: Erano persone tranquillissime, una famiglia perbene, una coppia solare, eccetera, eccetera, eccetera. A questo punto, vista la frequenza quasi giornaliera di tali  episodi nelle linde villette & casette lombarde, mi chiedo se, per la sicurezza del vicinato, sia davvero opportuno averci accanto delle persone e delle famigliuole così perbene, così tranquille, così normali, così solari. Bisognerebbe anzi dire ai vicini di casa che sarebbe assai più sicuro, che so io, abitare accanto a una bella coppia di anarchici insurrezionalisti o di violenti e facinorosi ultras dell'Atalanta, oppure al centro sociale Prospero Gallinari di Parabiago. Sicuramente, tali circostanze garantirebbero assai di più che, un dato giorno, un bravo vicino o un'onesta vicina non si ritrovassero a dover dichiarare alla stampa o alla televisione la loro assoluta incredulità di fronte al paparino della porta accanto che ha massacrato tutta la famiglia.

Dopo averLe, signor Direttore, esposto brevemente i fatti, trarrò le mie conclusioni sperando che trovino adeguato accoglimento.

L'emergenza de' Lombardi è un fatto incontrovertibile. Un dato certo. Oramai si va avanti così nell'indifferenza pressoché generale, mentre questo popolo barbarico fa più vittime di Attila. In un paese che ha bisogno di sentirsi libero e sicuro come il nostro, tutto ciò è intollerabile. Coi suoi indicibili mostri, il popolo lombardo mina alla base la nostra coësione nazionale e, oltracciò, alimenta in tutti noi la coscienza di poter essere tranquillamente de' mostri uguali a loro. Anche io e Lei, signor Direttore; peraltro, so che pure Lei è lombardo e quindi, nello scriverLe, mi tocco vastamente i coglioni faccio i debiti scongiuri, non avesse a capitarmi a casa munito di una roncola e invocando Papa Giovanni.

Nella speranza che tutto ciò non accada, La inviterei calorosamente, signor Direttore, a pubblicare sul Suo e nostro giornale un'adeguata e martellante campagna mediatica volta alla cacciata de' Lombardi dal territorio nazionale; ributtiamoli su' monti e ne' laghi, o, meglio ancora, nelle desolate plaghe centroasiatiche da cui son venuti in tempi remoti! Potrebbe certamente obiettare, signor Direttore, che anche tra i Lombardi esistono persone buone e giuste; certamente, ma in casi di reale emergenza come questo, sarebbe del tutto inutile e controproducente sottilizzare e sarebbe invece opportuno adottare il sano, ancorché duro, principio osservato dal prode Simon de Montfort in occasione del massacro de' Catari di Béziers: Ammazzateli tutti, Dio riconoscerà i suoi.

Sia organizzato un rigoroso pattugliamento di tutto il territorio lombardo, un'operazione Lacus Noster o Briccum Nostrum; e, visto che ci vuole per forza l'eroica isoletta, sia a tal uopo adibito il Monte Isola nel lago d'Iseo che potrà benissimo far le veci di boreal Lampedusa con tanto di affondamento del canotto e visita del Sommo Pontefice. Sia rapidamente varata una legge per la costituzione de' CIL (Centri Identificazione Lombardi) e sia applicata con giustizia e rigore. Ai lombardi che risultino meritevoli, sia data la possibilità di lavorare e integrarsi, previo apprendimento della lingua nazionale (al primo cagare o al primo pirla, espulsione immediata). Ma è inutile, signor Direttore, che Le suggerisca altre misure; Lei sa meglio di me quali e quanti provvedimenti debbano essere adottati per far fronte a questa emergenza.

Nel dirLe questo, signor Direttore, mi pregio di salutarla con deferenza e termino questa mia missiva per improcrastinabili impegni; mi sono infatti innamorato follemente sia di una dodicenne di Inveriago, sia di una mia collega sposata con due figli, e devo urgentemente trovare dei posticini dove portare la fanciulla a mangiare un gelato e dove sistemare convenientemente la mia famiglia per la notte (eterna).

Cordialissimi saluti,

Carlo Maria Ghebbels, Lecco.


domenica 15 giugno 2014

In balneo veritas



Sul muro del bagno (delle donne)
Centro sociale Bujanov - Don Chisciotte
Vacchereccia (AR), 14/6/2014

martedì 10 giugno 2014

Piero Ciampi? State zitti tu e i tuoi servi, cisterne di merda!



Dei "risultati" delle "elezioni comunali" e di qualsiasi altra elezione, m'importa meno che della sega d'un colibrì. Da chi abbiano "scelto" di farsi amministrare quella metà di livornesi (50,44%) che sono andati, domenica scorsa, a votare per un'accozzaglia di gente in contrapposizione al PND (Partito Nazionaldemocratico der Arbeiter)  che da settant'anni, in varie forme, non si spiccicava peggio che se l'avessero incollato con l'Attak, sono cazzi loro, 'ni vo in culo e porto sei. Certo che, ancora una volta, a Livorno come altrove, non si vuole proprio vedere che cosa sia stato in realtà "votato": è stato votato il non votare. Metà della popolazione di una città di 160.000 abitanti che, il giorno del "decisivo & storico ballottaggio", decide di non ballottare e se la patullino un po'quegli altri a base di "cambiamenti".

Anche per questo, sapere e leggere oggi che una serie di cisterne piene zipille di merda, vale a dire Giuliano Ferrara e un suo servo (tale Camillo Langone) si sono permessi, sul loro "Foglio" (sì, ma di carta da culo), di tirare in ballo Piero Ciampi a proposito delle "elezioni livornesi", mi ha fatto balzare sulla sedia con la voglia di averci accanto, e bello carico, un AK47. Non ci credete? Leggete qui. Questi qui mi farebbero vomità anco ir cacciucco der Sottomarino, dé. "Ma domenica a votare è andata a votare la Livorno di Ciampi, inteso il cantautore Piero: il primo che cantò 'ma vaffanculo' ", scrive 'ver popo' di bodda marina al servizio di 'ver butriolo ar cubo di Ferrara; provi magari a immaginare quale vaffanculo cosmico si sarebbero beccati lui e ir su' padrone da Piero Ciampi, che nella sua agra vita fu magrissimo e servo di nessuno.


La Livorno di Piero Ciampi non esiste più. Visto che, anni fa, l'ho fatto perzino risuscità in un racconto, è come se me lo sentissi dire che, quella Livorno là, almeno un po' se l'era inventata lui; come, del resto, me la sono inventata io quando ci stavo. Livorno ne combina di queste cose; è ir 'zu bello, o forse era. O forse, da qualche parte che non so, s'è rintanata in attesa di riuscì' fora. O forse ancora se n'è andata via, schifata; c'è caso che, pe fa' un dispetto, un pezzo se ne sia andata addirittura a Pisa. Ma quella Livorno là,  quella, bisogna soprattutto sapersela inventare, magari in certe nottate d'inverno passate a camminare con in tasca una bottiglia di 'varcosa che, a voialtri, vi farebbe stiantà' solo a sentinne ir puzzo. Quella Livorno triste triste, stranita, inafferrabile come il mare, che potrà essere stata, magari, anche quella di Piero Ciampi ma che è soprattutto la tua, con le canzoni di Ciampi a fa' da colonna sonora. Quella Livorno che sta sotto a patine più o meno colorite e colorate. Quella Livorno arroìta da' ponci. Quella Livorno de su' gatti sotto agli Scali delle Cantine. Quella Livorno dell'ombra di piazza Colonnella che mi dette l'addio regalandomi un euro per le sigarette. Quella Livorno che potrei andà' avanti pe' du' ore a parlanne, compreso spiegà che dose abissale di pezzi di merda ci stanno, da' pottaioni der viale Italia ai fascisti dentro che magari "votavano" pe'r grande Piccì di merda come loro. Ché Livorno ha, o aveva, il cuore duro; non "grande" come si blatera. Ché Livorno non è le macchiette del "Vernacoliere" e men che mai i miti che si è costruita addosso, o che le hanno fabbricato per neutralizzarla, per renderla innocua. La Livorno der ventuno. E così è andata; ce l'ho lasciato per davvero, il cuore sul porto di Livorno. E me la sono portata dietro dappertutto. Divago, vero? Divago, e divago sperando che il maglione di gran marca che regalai a una gatta per avvolgere i suoi gattini appena nati abbia fatto il suo dovere; me lo levai di dosso e rimasi in camicia di novembre. Livorno, non lo sapete, è un novembre. E' il novembre della faccia e della vita di Angelo Froglia. 




E' un novembre, Livorno, che non è dato a utilizzare a dei servi dei servi dei servi. Mi verrebbe la voglia di piglià un treno e d'andà in via Pellettiè davanti ar dodici a urlallo. In culo a voi e alle vostre elezioni. La "Livorno di Piero Ciampi" vi sdraierebbe a picchi ne' denti, brutti sudici. Ferrara. Mi fa sbudellà dar rìde' solo a pensacci; c'è chi colleziona i francobolli o i tappini, e quello è uno che ha collezionato servitù e leccate di culo, a tutti. Ar Piccì der babbino suo, a Crassi, a Berlusconi, ora si dà da fà' con Grillo (uno cui Piero Ciampi avrebbe detto: Dé, ma te li vòi taglià que' 'apelli che sembri ir pupazzo dell'Orzoro...?). E vi ci vorrebbe sì un po' di Livorno, di 'vella 'e dìo io, di 'vella soda; con Ferrara ci si farebbero du' tonnellate di 'Iteat (*) per' tutti i gatti della Fortezza Nova. Poi fa scrìve l'artìolo sulla "Livorno di Piero Ciampi" ar figliolo d'un forgorino; uimmèna. Chissà se ar babbino dell'articolista hanno rovesciato dalla finestra un pitale di piscio sur capo mentre sfilava facendo ir saluto romano.

E Piero Ciampi, brutti pezzi di merda, servi der potere, 'un vi dovete nemmanco azzardà a nominallo. Vi càa sur muso, Piero Ciampi; e pe' unn'èsse da meno, vi cào sur muso anch'io. A voi, alle vostre elezioni, a' vostri sindaci e alle vostre percentuali. Parlatene pure, ma Piero lo dovete lascià stà'. Sennò c'è ir caso che, un giorno, ve lo vedete arrivà' co' un sottomarino; e poi si ride.

(*) Kitekat

mercoledì 4 giugno 2014

Terroristi



Ci sono proprio tutti quanti. Una perfetta antologia. Dall'ex governatore della Regione Veneto, Giancarlo Galan, al sindaco de Venexia, Orsoni. E poi "magistrati delle acque", la Mantovani, le "Cooperative" più o meno "rosse". C'è, naturalmente, la "grande opera": il Mose (acronimo scelto anche per ricordare Mosè), il disastroso sistema di dighe mobili che avrebbe dovuto "salvare Venezia" e che invece, oltreché l'ennesimo scempio ambientale, si sta rivelando del tutto inutile e basato su calcoli e previsioni sbagliate. Ovviamente, l'altrettanto ennesimo "ministro", tale Lupi, si è affrettato a ripetere la tiritera: "Accertare le responsabilità penali ma completare l'opera". Così come si devono "accertare le responsabilità penali" ma fare comunque l'Expo di Milano 2015. Un sistema intero. Pezzi interi dello stato italiano, ai più alti livelli, assieme ai potentati economici e a politicanti trasversali, dove ogni presupposta "appartenenza politica"è del tutto annullata, indifferente (Galan di "Forza Italia", Orsoni del "Partito Democratico"); ma questo lo si sapeva già bene. Lavori colossali in regime di esclusiva, senza appalti, affidati direttamente ad un consorzio ("Venezia Nuova") che, in questo, ha superato persino la Mafia. La Mafia, perlomeno, trucca gli appalti; qui, di appalti, non ce n'è stato neppure bisogno. Neppure la farsa. 

Può darsi che tutto questo, a molti, ricordi decine di cose già viste; ma, a me, ne ricorda una ben precisa, più delle altre. Una cosa che comincia con Val e finisce con Susa. Una fotocopia, quella del TAV: lo stato, i ministri, la "UE che chiede", i governatori, i politicanti trasversali, l'inutilità totale, il disastro ambientale, le grandi imprese, le "cooperative". Con l'aggiunta, in questo caso, di una popolazione che si è ribellata e che lotta, e di una repressione spietata da parte dello stato, della sua magistratura, delle sue polizie. Mentre gli zelanti procuratori arrestano ogni giorno (solo di ieri la notizia di altri 29 provvedimenti di custodia) ammannendo accuse di "terrorismo", i veri terroristi fanno i loro affaroni. Un giorno o l'altro, e se ne può essere ragionevolmente certi, sarà scoperchiato anche il verminaio del TAV in Valsusa, e allora non basteranno più i Padalino e i Rinaudo. Ci saranno dentro ministri, governatori, imprese, "cooperative", tutti quanti; i veri terroristi, quelli in giacca e cravatta, quelli che non mettono fuori uso i compressori, quelli che mandano la truppa a sequestrare un pezzo intero di territorio e a inseguire in armi chiunque si avvicini alla Clarea. Mari e monti, dalle montagne valsusine alla laguna veneta, quelli che si servono dei loro magistrati "eroi antimafia" per coprire qualosa che è persino peggio della mafia; nulla si salva da questi terroristi, perché terrorista è il loro Stato. Ci sarà, naturalmente, il coretto sull "accertamento delle responsabilità" mentre il ministro dirà che comunque "bisogna completare l'opera".

E così, mentre finiscono quotidianamente in galera compagne e compagni accusati di "devastazione e saccheggio" per una vetrina, una recinzione o un compressore, questi qui devastano e saccheggiano un paese intero, dalla Valsusa a Venezia, dalla Sicilia al Mugello. Devastano e saccheggiano il mondo.

lunedì 2 giugno 2014

San Crispino




Siamo nati per marciare sulla testa dei re emeriti.

domenica 1 giugno 2014

Fratellini (e sorelline) d'itaglia



Giusto alla vigilia del due giugno, festa della repubblica "nata dalla resistenza" e con quella sua famosa "costituzione" immancabile feticcio di demokratici, sinistri "radicali", robertibenigni, giuristi per caso, zagrebèschi, donciotti, effetrentacinque, anacronistiche pulsioni e chi più ne ha, più ne metta, trova l'ennesima e perfetta applicazione quella sua famosa "disposizione transitoria" che prevedeva il divieto di ricostituzione del dissiòlto partito fassìsta in ogni sua forma eccetera (tant'è vero che già nel '46 si costituiva il MSI). Nel paese con la "costituzione più bella del mondo" (sembra che abbia persino vinto il titolo di "Miss Constitution" nel '79), i fascisti sono dappertutto. Sono liberi di scorrazzare come e quando vogliono, mandano i loro Casseri in piazza Dalmazia, siedono in tutte le istituzioni democratiche da quelle locali a quelle nazionali, hanno presenze massicce nelle "forze dell'ordine", festeggiano giovannigentile, franchi tiratori e marcesurroma a Predappio, ci hanno un bel po' di fedeli calciatori grand'eroi dello spòrte e, naturalmente, continuano a tirare fuori i coltelli.

Ieri sera a Torino, un ragazzo di 27 anni -sembra dello squat Mezcal ma le notizie sono ancora frammentarie- è stato accoltellato sul metrò da un gruppetto di fasci, giovanissimi, composto da quattro stronzetti e due stronzette. Si sono accorti del suo abbigliamento, individuato come "antagonista", e lo hanno aggredito prima a calci e pugni, e poi a coltellate perforandogli un polmone. Il ragazzo è attualmente ricoverato all'ospedale Mauriziano, in prognosi riservata ma pare (fortunatamente) non in immediato pericolo di vita. Due fasci, uno di 18 anni e l'altro minorenne, sono stati arrestati. Eccoli in azione, i fratellini d'itaglia, i vigliacchetti nutriti e foraggiati dalla "repubblica antifascista" che da quasi settant'anni altro non fa che coprirli e servirsene per piccole e grandi incombenze, dagli accoltellamenti sul metrò alle bombe sui treni.

Magari a qualcuno verrà in mente di dire che sono "ragazzini", che sono "ignoranti", che sono dei pischellotti con un quoziente d'intelligenza inferiore a quello di una melanzana; intanto, però, di qualcosa sono stati imbevuti e sanno di poter contare su un ben preciso retroterra, su connivenze e su un'intera "cultura" ben organizzata. E tirano fuori il coltello per colpire un ragazzo inerme e senza nessuna possibilità di difendersi. Fra due giorni ci sarà il consueto leguleio che "escluderà i motivi politici", pare già di vederlo; e avanti il prossimo. Domani sfileranno presidenti, retoriche e parate militari, e magari ci sarà anche una bella spruzzata di "nostri marò" (quelli espressamente nominati da Giorgio Napolitano nella sua allocuzione del 25 aprile).

Del resto, il termine "marò" veniva usato comunemente anche per i membri della X MAS di Junio Valerio Borghese, una cosa che dovrebbe prima o poi essere ricordata. Tutto questo accade nel bel paese della "coesione" che si prepara al rito dei mondiali di pallone; profluvi di bandiere, di frecce tricolori, di jobs act, di sgomberi, di utenze tagliate, di poveri cristi schiacciati a morte in Borgo San Frediano, di repressione giornaliera, di telecamere, di "legalità" e, ovviamente, di gente accoltellata sul metrò perché ha la sfortuna di imbattersi nei bravi ragazzi (e nelle brave ragazze) d'itaglia.

Fatevela pure la vostra festicciola. Tanto è già finita prima di cominciare, davanti a un letto d'ospedale dove sta distesa un'altra persona che ha avuto un polmone perforato dalla vostra "democrazia". Alla quale va, per quel che può servire, un abbraccio forte.